APPUNTAMENTI | 03/06/2018 | 10:52
Guardando dal suo cielo tutta quella gente salita per lui sulla rupe di Canossa, Michele Scarponi avrà sicuramente fatto una delle sue tipiche facce: amici, conoscenti, tifosi, curiosi, cicloamatori, persino sindaci con fascia, tutti lì sudati sotto il sole, gli avranno di sicuro fatto scappare un sorriso. Quel sorriso che l’indimenticato campione sapeva regalare in bici adesso è anche una bella scultura, firmata dalla Scuola del comune matildico che l’ha pensata insieme ai dirigenti della Cooperatori, vero e proprio motore di tutto ciò che circola su due ruote nel Reggiano.
Oltre a ricordare un ragazzo volato oltre le nuvole con troppo anticipo, sulla salita fra i castelli di Matilde il monumento proporrà ai giovani l’esempio di un ciclista che sapeva affrontare con leggerezza la fatica: per questo è ancora molto amato, da chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e da chi, pur non essendoci riuscito, ne ha ugualmente un ricordo familiare.
«Qui abbiamo trovato gente vera», ringrazia Marco Scarponi, che nel nome del fratello conduce una giusta battaglia per la sicurezza, «perché i morti sulla strada passano come un fatto accettabile, quando invece è inaccettabile». Quella gente vera, in una terra fisicamente lontana quanto sentimentalmente vicinissima alle Marche di Michele, un anno fa ha pensato di perpetuarne il ricordo anche con un’opera d’arte, da collocare su una salita tra le più belle e spettacolari, e per questo frequentatissima dai cicloamatori. L’idea della Cooperatori, che su questa strada farà passare il 10 giugno la sua gran fondo, è piaciuta a Luca Bolondi, Luigi Bellavia e Clementina Santi, sindaco e assessori del comune di Canossa: di qui ad affidarsi alla Scuola di scultura su pietra, che guarda caso è proprio su quel tratto di collina fra i due castelli, è stato il passo successivo.
Un anno dopo, l’idea è diventata un fatto e anche un’inaugurazione: davanti al castello, sul belvedere che tutta l’Italia invidia, dopo le parole di rito si è alzato il velo. Eccolo lì, Michele in bici che sorride, uscendo da un blocco di arenaria di due metri e mezzo d’altezza al quale ha lavorato una squadra speciale della scuola matildica. Eccolo lì, sotto gli occhi di Marco, di papà Giacomo e di mamma Flavia, dell’ex collega Julio Perez appena tornato in Italia («Parlavamo spesso in spagnolo fra noi, lui lo sapeva bene»), dei tecnici che lo hanno guidato come Beppe Martinelli («Lo ricordiamo tutti i giorni, era uno che sapeva parlare ai compagni e soprattutto ai giovani») e Alexander Shefer, dei manager che gli hanno voluto bene come Bruno Reverberi («Aveva un modo giusto e bello di porsi agli altri»), del suo procuratore Raimondo Scimone, di ex ciclisti della zona e di tanti che, sapendo che adesso là in cima c’è Scarponi, hanno scoperto che andare a Canossa ha pure un bel significato.
Angelo Costa
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