di Cristiano Gatti -
Caro Elia, inteso come Viviani, questa è una breve lettera del genere “non avrei mai voluto scriverla”. Non avendo una conoscenza intima e profonda della tua persona, mi limito a dirti che mi ero fatto di te un’idea molto positiva. Per quel che vale. Mi piacevano il tuo modo e il tuo mondo semplice, la tua passione coltivata fino in fondo, la tua impronta di sprinter fuori dagli schemi, quanto meno dello schema portiere del calcio, cioè fondamentalmente svitato. Molto nobile e inusuale la tua accanita difesa del fidanzamento con Elena, più che altro dagli assalti della De Filippi de noantri, la Zia Ale, al grido sono cose mie e decido in privato quando me la sposo.
Fino a Nervesa mi eri sembrato proprio un gran bel personaggio. Di sostanza, non di forma. Di arrosto, non di fumo. Tanto da considerarti uno dei migliori testimonial per questo sport un po’ in crisi di reputazione, per via di tante cose che non è il caso di stare qui a rivangare. Sinceramente: lo restavi tranquillamente anche dopo le due sconfitte da Bennett, ci mancherebbe altro, non sono due vittorie in più o in meno a cambiare la reputazione di un uomo.
Poi arriva il trionfo di Nervesa della Battaglia. E mannaggia al momento in cui ti sei preso il tris di questo Giro (tra parentesi, ricordati di accendere un cero al tuo santo protettore, perché una griglia così misera di sprinter non la ritroverai più nemmeno al Circuito della tinca in umido). Improvvisamente, ci è comparso davanti l’altro Viviani. Come se il te stesso conosciuto per anni fosse un gemello, tipo famiglia Yates. Questo del tris è di una pasta tutta diversa. Capirei una frase per dire “dedicato a chi mi considerava finito”: ci sta, è umano, va concesso. Ma tu invece la fai lunga in un modo insopportabile. I gesti con le mani, il lancio della bici, le torrenziali tiritere in tv. La rabbia e il rancore. E poi la risposta peggiore, alla Zia, quando ti domanda con chi ce l’hai, la risposta più banale e più comoda, perché la più facile e la più vuota: “Ce l’ho con tutti”.
Ma tutti chi, Elia? Tutti siamo tantissimi. Anche quelli che ti hanno sempre sostenuto. Anche quelli che non hanno fatto un dramma delle tue sconfitte. Anche quelli che ti consideravano un ragazzo d’oro. Non è mai bello, tanto meno giusto, dire tutti. E difatti, quando la Zia ti chiede “ma tutti chi”, arriva finalmente la risposta vera: “Ciro”.
Perdonerai, ma a questo punto la rabbia e il risentimento è nostro, di tutti noi che non siamo Ciro. Caro Elia, in certi momenti bisogna essere mediamente uomini: se ce l’ho con Ciro, me la prendo con Ciro. Sparare a vanvera nel mucchio è odioso, almeno quanto i personaggioni dello sport che quando leggono una riga indigesta di un solo giornalista entrano in silenzio stampa contro tutti. Proprio un bel senso di responsabilità. Proprio una grande dignità.
Purtroppo, ci sei caduto anche tu. Sappi che non finisce in cavalleria, come acqua fresca. Certe cose restano. Come minimo, rischiano di cambiare il tuo tasso di umanità e di simpatia.
Quanto poi alla questione in sé, dirò io fuori dai giri di parole e delle allusioni cosmiche come sta la cosa, a beneficio di chi ancora non l’ha chiara: la Gazzetta ha titolato dov’è finito Viviani dopo la batosta di Imola, su un articolo di Ciro Scognamiglio.
Ritengo doveroso dire che Ciro Scognamiglio è un signor giornalista. Un giornalista che ha fatto benissimo il suo lavoro. E che la Gazzetta non ti ha minimamente messo in croce, limitandosi a ideare un titolo perfetto, sintetizzando il sentimento e gli interrogativi dell’Italia tifosa. Punto. Non c’è altro. Nessuno ti ha dato del finito. Nessuno ti ha scorticato. Questo te lo sei inventato tu per caricarti a pallettoni. Per rovinare col veleno una giornata bellissima. Sia detto fuori dai denti: magari ti aspetti delle scuse. Fossi al posto tuo, andrei dal nemico Ciro a porgerle, invece. E che siano sincere.