DESERTO. Dopo l’annullamento del tanto atteso e decantato Giro di Hangzhou in Cina (era in programma dal 17 al 21 di ottobre), abbiamo assistito al mondiale criptato. Pasticci con gli organizzatori olandesi e la tivù di Stato hanno impedito di vedere le gare juniores (ma questa categoria non doveva essere tutelata e non esasperata? mah, chi ci capisce è bravo) sia maschili che femminili e la gara a crono degli under 23, perché quella in linea è saltata fuori all’ultimo minuto, dopo estenuanti trattative e alcuni vaffa, ma soprattutto grazie ai 650 mila euro tirati fuori dalla Rabobank per far vedere la gara dei ragazzi. Insomma, proprio un bel modo di organizzare. Di vendere il proprio prodotto. Spero solo che i bonifici siano andati a buon fine e che i solerti responsabili amministrativi dell’Uci abbiamo controllato tutto bene, e non si accorgano solo tra qualche mese che non hanno incassato quanto dovuto. Difficile però che ciò accada - conoscendoli - ma viste le accurate garanzie che si sono fatti dare per la messa in onda delle prove iridate nel Limburgo, qualche dubbio ci assale. A proposito, il Mondiale spagnolo del 2014 sulle strade di Ponferrada è a rischio. Sono in serie difficoltà economiche. Domanda: ma quando si accettano le candidature e poi si assegnano ad una città piuttosto che ad un’altra la possibilità di organizzare la rassegna iridata, che tipo di garanzie si devono dare? È vero, c’è la crisi e certe cose possono capitare, ma allora ne prendano atto i sapienti dirigenti dell’Uci e non strangolino i comitati organizzatori con cifre da capogiro (5 milioni di euro) che sono comunque destinate a salire considerevolmente nei prossimi anni. Il progetto è chiaro e con il Qatar, dal 2016 si svolta: chi organizza deve anche garantire la produzione televisiva, costo di tutto il pacchetto che va dai 20 ai 25 milioni di euro. A naso, forse guardando solo fin dove arriva il mio, i prossimi mondiali li organizzeranno solo nel deserto. Sperando che deserte non vadano le richieste: di organizzazione.
NEL GIARDINO DI CASA. Dobbiamo credere nei giovani: su questo penso non ci siano dubbi. Il cambio generazionale va promosso, supportato, seguito e incentivato. Fortunatamente qualche buon giovane ce l’abbiamo anche. Devono maturare, fare esperienza, prendere qualche portellata in faccia, ma tra qualche anno potremmo festeggiare per loro. Assieme a loro. Il progetto avviato dal presidente della Federazione Ciclistica Italiana Renato Di Rocco è di opportunità ma anche di opportunismo. Opportunità, perché è bene voltare pagina, tirare una riga su corridori che hanno detto poco e hanno per questo poco da dire, e puntare dritto verso il nuovo che avanza. Ma anche di opportunismo: perché quando si prende atto della propria pochezza è meglio travestire e infiocchettare il concetto con il lancio di un progetto: si punta sui giovani e ci si mette al riparo da ogni critica e conseguenza. Per la serie: non sparate sul manovratore, bisogna avere pazienza. Please.
Noi la pazienza ce l’abbiamo, ma pretendiamo anche un po’ di chiarezza. Intanto davanti agli occhi abbiamo le prestazioni dei nostri under 23: meglio non commentarle, anche perché in questo numero l’ha fatto in modo egregio il nostro Paolo Broggi. Mi limito a dare un consiglio al nostro presidente Di Rocco, che segue quello di un mese fa: deve chiarirsi le idee. Capire che tipo di ciclismo desidera, sogna e agogna. L’Uci nel bene e nel male da tempo l’ha capito e ha tracciato una strada: gli under 23 per loro in pratica non esistono più. È una categoria morta. L’Uci ha scelto i team Continental, bacino naturale di quei giovani di buone speranze che escono dalla categoria juniores e finiscono nelle giovanili delle formazioni di World Tour di riferimento: vedi Astana, Rabobank, Leopard, Itera e via elencando. Formazioni professionistiche di terza fascia che si misurano in corse di livello in tutto il mondo. Respirano a piccole dosi il grande ciclismo. Si confrontano per tutto l’anno e ad ogni latitudine a livelli alti. Il nostro presidente, invece, quando è in Italia aborrisce le squadre Continental per prediligere quelle under 23. In sede mondiale (è vice-presidente dell’Uci), non batte ciglio e sposa il progetto del Governo mondiale della bicicletta. E mettersi d’accordo? Il nostro ciclismo giovanile è ormai un affare di famiglia: la nostra. Abbiamo deciso di correre nel giardino di casa e siamo per giunta convinti di essere i più bravi e i più forti, salvo poi andare all’estero (poche volte e quando capita con le maglie di club tinte di azzurro per ridurre i costi) e rimediare sonore batoste. Lo so, poi ci sono le eccezioni che confermano la regola. Grazie al cielo abbiamo ragazzi come Mattia Cattaneo che per il secondo anno consecutivo arriva terzo al Tour de l’Avenir. Ma il problema resta. Ed è il momento che Renato Di Rocco decida quale strada prendere e percorrere. Quale ciclismo pensa di proporci in un futuro prossimo venturo. Competere con il mondo o nel giardino di casa.
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