Caro Vincenzo,
nelle rubriche mensili non si parla abitualmente di giorni, ma la tua impresa di questa domenica a Liegi, questo tuo secondo posto dietro quel bravo Iglinskiy che è arrivato fra voi due solo penultimo, merita ampiamente questa eccezione.
Vedi, immagino idealmente di scriverti, anche se pure io sono del Meridione, per mano e per cuore di un altro ciclista siciliano come te, uno nato tanti anni fa, ed ancora più in giù, geograficamente, - tu di Messina, lui di Misterbianco, provincia di Catania - di te.
Vedi, mi sembra di scriverti, per quello che di straordinario e poco fortunato hai fatto in questa domenica di aprile (che in altri sport è stato tanto poco edificante...), per quello che di emozionante hai tracciato sulla strada e sulla Côte des Italiens, tra i tricolori, per delega di Giuseppe, detto “Pino”, Cerami, emigrante e ciclista antico.
Lui, che ha compiuto forse novant’anni mentre ti scrivo, - specifico “forse”, perché come raccontava una volta a Pierre Chany, non aveva mai saputo se all’anagrafe fosse davvero esatta come data di nascita il 28 marzo o invece il 28 aprile 1922 -, restò per decenni il ciclista del Sud più profondo che il mondo ciclistico conoscesse. E fu un ciclista generoso, umile, da figlio di italiani emigrati nel 1927, ed arrivati in Belgio, a Charleroi, non per l’ambizione di fare fortuna, no: ma solo per poter lavorare con dignità. E pensa, Vincenzo, tu che il futuro lo hai trovato già in Toscana, che il grande sogno del padre di Pino Cerami era in realtà quello di arrivare negli Stati Uniti: ma il suo viaggio intercontinentale si sarebbe interrotto già alla frontiera francese, per problemi di visto. E la sua America sarebbe stata, al massimo, dunque il Belgio delle nebbie e delle piogge.
E Pino Cerami, quello che in un pomeriggio affacciato su maggio, ti scrive per complimentarsi con te, sarebbe diventato negli anni un corridore di lungo corso e laboriosa dedizione. Avrebbe gareggiato da italiano e da gregario, dal ’47, e pensa che il suo primo Criterium lo vinse proprio a Charleroi, per la felicità del padre, da straniero che si afferma in Belgio. Con un secondo posto misterioso a lungo, per un errore di percorso, al Lombardia del ’53: primo, Landi. E quel siciliano come te, Vincenzo, di un’Italia che mandava prima e dopo ogni guerra i figli a vivere lontano, domestique di Van Steenbergen, Ockers, anche di Coppi, di Kubler, quel siciliano fortissimo, “chiedetelo a Stan Ockers”, un giorno - a 34 anni - avrebbe cambiato vita.
Aveva trovato alfine i soldi per pagare il cambio di nazionalità, 40.000 franchi, e alla Peugeot di Gaston Plaud, alla buon’ora, da “belga” avrebbe potuto guadagnare senza ostracismi i gradi di protagonista.
Caro Vincenzo, tu che giustamente speravi che la Liegi di oggi avesse un chilometro in meno, ma sei ancora un ragazzo, pensa che Pino Cerami solo a 38 anni avrebbe vinto la Roubaix e la Freccia Vallone, e nello stesso anno, nel ’60: e che sarebbe arrivato pure terzo al Mondiale, in quella stagione. E che ancora rimane, con la vittoria ottenuta a Pau nel ’63, il vincitore meno giovane di una tappa del Tour de France: 41 anni.
Caro Vincenzo, tu che hai lo sguardo fresco puntato all’impresa che verrà e all’attacco puntuale dell’indomani, stai pur certo che Cerami intanto lo hai già raggiunto.
Nella passione degli italiani del Belgio e di ogni continente sentimentale che reciti ciclismo. E in quell’almanacco che precisa guarda caso un precedente statistico: 1963, Liegi-Bastogne-Liegi, 1. Melckeenbeeck, 2. Cerami...
Già, secondo anche lui, alla Liegi, molto prima di te, una parità siciliana, con un cenno di intesa dall’altra parte del tempo, ed una certezza di futuro.
Vedi, Melckeenbeeck e Iglinskiy restano vincitori di una primavera incerta. Tu, come assicura Cerami, i capelli bianchi di un secolo scorso, tu, Vincenzo Nibali, sei già un fiore di maggio.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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