Rapporti&Relazioni
W il Bar Sport

di Gian Paolo Ormezzano

Comincio dal calcio ma tranquilli, è per parlare meglio del ciclismo, o per dire su di esso qualcosa di nuovo e forse di interessante.
Il calcio, dunque. Qualche mese fa un importante quotidiano spagnolo, El Pais, di una nazione calciofila e detentrice del titolo europeo, e dunque, si presume, assai interessata agli studi sulla sfera di cuoio, ha pubblicato un articolo, ripreso da un mensile calcistico francese molto intellettualsatirico, in cui si ri­cordava la tragedia che (frase nel titolo) “cambiò il volto del football mondiale”, cioè la fine del Grande Torino, il 4 maggio 1949, nella sciagura aerea di Su­perga.

Il perché? Se non fosse scomparsa, quella squadra, travasata per dieci (già avvenuto) e anche undici un­di­cesimi nella Na­zio­nale italiana, avrebbe quasi si­curamente vinto il titolo mondiale, nella manifestazione in calendario per il 1950 ne­gli stadi del Brasile, facendo sì che il grande calcio in­ternazionale:
1) si desudamericanizzasse, invece di consegnarsi, come accadde in quel 1950, non solo all’Uruguay campione a sorpresa, ma anche al Brasile sconfitto nella finale e però dominatore del torneo sino alla penultima partita del torneo;
2) il calcio italiano, depauperato brutalmente dei suoi migliori giocatori, non avrebbe dovuto sublimare, per carenza di talenti, il ca­te­naccio a sistema obbligato di “non gioco”, causando contagio e danno a tutto il mondo del pallone;
3) quell’Italia avrebbe giocato e vin­to anche divertendo, come fa­ce­va il Grande Torino, in maniera comunque più pratica e moderna del calcio “ballato” dei sudamericani ancora adesso fumosi e, talvolta, persino frivoli;
4) l’Italia di quel Grande Torino avreb­be facilmente imposto il suo modo di vedere e praticare il gioco anche con la forza aritmetica e statistica dei suoi tre titoli mondiali consecutivi (nel 1934, nel 1938 e, dopo la pausa bellica, nel 1950).

Naturalmente da tifoso del Toro ho usato assai quell’articolo del giornale spagnolo, e in fondo an­che qui continuo ad usarlo. Que­sta volta però mi serve, l’articolo, non da linimento alle ferite che la squadra granata mi procura con la sua de­cadenza, quanto a introdurre il te­ma dei confronti nello sport, delle ipotesi di supremazia di tizio e di ca­io an­che se proiettati in un tem­po che non è il loro.
Il mio speciale personale giro d’I­ta­lia per promuovere il mio libro sulla rivalità fra Coppi e Bartali mi met­te, fra l’altro, a contatto con tante ma proprio tante persone che mi sollecitano non solo il paragone fra i due, non solo quello fra Coppi e Merckx, che comunque merita una attenzione speciale.
“Coppi il più grande, Merckx il più forte”: ho inventato io la frase, mol­ti la usano approvandola, altri no, dicono per esempio che Coppi trionfò anche in pista, dunque fu più forte di Merckx. Io obbietto che se uno vince in pista come su strada, nell’inseguimento come sul­le salitone, questo può significare che il ciclismo è sport in ritardo di evoluzione, visto che tollera e persino esalta la non specializzazione. Per spiegarmi meglio dico che le otto medaglie d’oro ai Gio­chi di Pechino 2008 conquistate dal nuotatore statunitense Phelps sono una quasi mortificazione del nuoto, che si consegna in stili e di­stanze diverse alla stessa persona, restando lontanissimo dalla specializzazione che in altri sport è la ve­ra esaltazione dell’atleta moderno.
Ma adesso passo alla mania dei confronti. Mi chiedono, ed è gran regalo se la­sciano in pace Coppi e Bartali e Merckx e Binda: in salita meglio Gaul o Bahamontes? a cronometro meglio Anquetil o Bal­dini? in volata meglio Van Looy o Poblet? Io prima ringrazio per la fiducia che viene riposta nel mio sapere, poi dico che non so, oppure che non si possono fare certi confronti. Se vengo ulteriormente sollecitato a pronunciarmi, dico che non me ne frega niente di de­ci­dere se in discesa è meglio Ma­gni o Nen­cini, Zilioli o Savoldelli. Il che, fra l’altro, è vero. Ma spesso noto che arreco dispiacere, de­lusione, e la cosa non mi va. Se da­re scandalo ad un fanciullo è cosa tanto tremenda che il colpevole do­vrebbe suicidarsi gettandosi in acqua con una pietra legata al col­lo, trattar male un ciclofilo è forse cosa ancora peggiore.

Qui provo semplicemente a dire, anzi a scrivere, che i confronti a di­stanza sono assolutamente im­pos­sibili, anche perché intorno agli atleti che si dovrebbero op­porre teoricamente uno all’altro ci sono mondi diversi, e che però que­sti stessi confronti sono divertentissimi, quasi affascinanti, praticamente irrinunciabili.
E infatti mi è piaciuto molto l’ar­ticolo di El Pais in cui in fondo si dice che il Grande Torino era più for­te del Brasile, dell’Uruguay, di tutte le squadre del mondo, e ho ammollato questo articolo ai cinque dei miei sei nipotini già capaci di leggere, promettendo ricchi pre­­mi a chi lo imparasse a memoria e me ne riferisse bene (i lavori sono in corso da tempo e lo saranno per chissà quanto tempo).
Faccio notare che si operano confronti anche nel settore degli sport motoristici, confronti fra gli uomini, dunque vaghi, e non sui motori, che almeno possono essere rappresentati con riferimenti scientifici, seri e validi universalmente. Sta per cominciare l’orgia della For­mu­la 1, in cui si devono pren­dere decisioni estreme quali: su Ferrari, meglio Alonso o Schu­macher? lo Schumacher di questo 2010 del suo ritorno è più forte dello Schu­macher iridato per il Ca­vallino? l’Alonso della Renault è superabile da parte dell’Alonso della Ferrari?

Discussioni da Bar Sport, d’ac­cor­do, ma sapere che il Bar Sport non muore mai in fondo è cosa bellissima, è fornitura di almeno una certezza. E a proposito, per finire do­ve ho pre­so il via, lo sanno i poveracci del calcio che se la moviola entra negli stadi il Bar Sport chiude, sprovvisto di quella imprescindibile materia prima che sono le discussioni sul rigore-non rigore, fuorigioco-non fuorigioco, addirittura gol-non gol? Mi vien voglia, da sadico spe­rimentatore, di scrivere a favore della moviola in cam­po, tradendo il mio amico Platini che ancora giocatore mi regalò la sua idea del di­vieto di usare le mani per il portiere in caso di re­tropassaggio di pie­de, cioè la vera rivoluzione epocale del calcio, e che da presidente Uefa e amico del Bar Sport non vuole tecnologie insieme inquisitrici e dogmatiche dentro gli stadi.
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