Caro Presidente Di Rocco, ci permettiamo di utilizzare questa pagina di credito, che tuttoBICI continua a riservarci, per rivolgerle una richiesta di intervento in qualche modo formale.
Caro Presidente, abbiamo ancora vivo l’entusiasmo e il senso della complicità del nostro ultimo incontro, sul Vesuvio, al Giro d’Italia. Quella giornata, incorniciata da una folla plaudente e da uno spettacolo naturale incomparabile, fu una vetrina sontuosa di grande ciclismo e di Grande Italia. Offerto, a prezzi di cuore e di affezione, dal Sud.
Ed è invece di queste settimane, purtroppo, che è stata soppressa l’edizione 2009, la numero 75 della sua storia, del Giro del Lazio, una corsa ancora fregiata della nobile sigla H.C., hors catégorie, in programma il 4 ottobre.
E contestualmente, su un gradino di rilievo certo minore, ma pur tuttavia nel segno di un avverso denominatore comune, ci risulta ancora incerta la sorte di una classica del ciclocross italiano, quel Borgocross di Casertavecchia, secondo per anzianità nazionale al solo cross di Scorzè, che non si è disputato nell’inverno scorso “per motivi economici” e che corre il rischio concreto di perdere la sua annualità, qualora non lo si programmi nei mesi autunnali a venire.
Il Lazio e i suoi (quasi) tre-quarti di secolo e di gloria, con le immagini inossidabili di De Vlaeminck e Moser sul pavè dell’Appia antica, da un
lato, e il Borgocross d’essai, con i suoi laboriosi artigiani del fango, dall’altro, si fondono in un unico punto di domanda che alla sua risposta autorevole affidiamo.
Quale futuro per il ciclismo del Centro-Sud? Quale proposito per non deluderlo oltre?
Quale chance per una platea di appassionati che vedono sempre più ammainate le loro storie di ciclismo locale e regionale? Via il Giro del Lazio, come il Giro della Campania, che ormai è depennato anche dalla memoria breve degli almanacchi, via la Puglia, via la Sicilia, ridimensionato il Giro della Calabria a tappe ad una giornata sola, tanto per non perire....
Quale possibilità ideale, ancora di più, per i ragazzi del Sud che diventano professionisti, di correre un giorno sulle proprie strade ? E lo diciamo senza retorica o sdolcinatura, pensando nel nostro ambito ad ogni campano che si affaccia nel ciclismo maggiore, e stavolta il riferimento immediato va a Fabrizio Lucciola, come ieri a Muto o a D’Andrea o a Giallorenzo: giovani tutti che l’emozione di pedalare da “pro” sulle vie di casa per il momento la realizzano solo per fiction, solo in allenamento.
Certo, quest’anno è tornato il Giro di Sardegna. Certo, c’è in Basilicata un valido Giro per juniores, c’è un Progetto Solidale che mira ad incentivare i talenti delle regioni ciclisticamente meno evolute, e il Velodromo di Marcianise ha ospitato con successo i Campionati italiani giovanili su pista, e a Grumo Nevano è finito il Giro rosa... Certo.
Ma la sensazione è che queste siano eccezioni, sia pure lodevoli. E che la regola sia invece quella “altra” lì, la negativa. Quella che abolisce Lazio e Campania, Puglia e Sicilia, quella che ha rimosso la “Papà Espedito”... Quella di una Italia sempre più criticamente a due velocità ciclistiche. Ma che ha una sola Federazione.
Caro Presidente, quel mattino di maggio, sul Vesuvio, ci sembrava che al Sud ci fosse il ciclismo migliore. Forse per illusione, forse perchè nutriamo una profonda, anche se leale, miopia municipale.
E così, ci consenta, ogni volta che dai nostri territori viene sottratta una speranza di ciclismo - sia pure quello dei nostri giorni perplessi -, e parliamo così delle corse dei professionisti come di quelle degli under 23, ci sembra venga sottratta una speranza di civiltà.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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