MONEY IN ITALY. Si fa tanto un gran parlare di made in Italy, esercizio sempre meno praticato dall’industria italiana. A ricordarci che però esistono anche i denari degli italiani, e che questi dovrebbero finire nelle tasche delle industrie italiane che si sforzano di produrre qualcosa di simil italiano è Fulvio Acquati, Presidente Gruppo Costruttori Parti Bici della Confidustria-Ancma. Una lettera (la pubblichiamo nell’apposita rubrica) inviata al presidente Guido Alberto Guidi con la quale ricorda che gli incentivi dati dallo Stato all’industria italiana vengono «dalle tasse degli italiani» e dovrebbero finire a quelle aziende che si sforzano di produrre qualcosa di italiano e in Italia. Che dire? È talmente logico che non c’era nemmeno bisogno di una lettera. Ma in questo Paese, così poco logico e così poco attento alle cose che ci riguardano da vicino, era necessario, per non dire opportuno, non solo scrivere e pubblicare questa lettera, ma farci anche due righe di commento.
GIRO CARTOLINA. Bello, bellissimo il Giro turistico d’Italia: Venezia, Trieste, Grado, San Martino di Castrozza, Bergamo, le Cinque Terre, Firenze, Bologna, Faenza, e poi Monte Petrano, Sulmona, Napoli, Roma. Tre settimane in giro per l’Italia, tra paesaggi incantevoli, monumenti mozzafiato, cibi deliziosi, incontri che valgono quanto la vita, perché sono essenza della vita stessa. Siamo tornati a casa, con tanti dolci ricordi, con nel cuore uno sport che merita di essere solo amato e un grazie da inviare a tutti coloro che hanno reso il viaggio del Giro un buon viaggio. Siamo tornati nelle nostre case, nelle nostre redazioni anche con la consapevolezza che le grandi città (Roma, Firenze e Milano), il Giro dovrebbero meritarselo e onorarlo di più. Con le eccezioni di Trieste, Torino, Grado, Bergamo, Bologna, Forlì e Faenza, Sulmona, tutto l’Abruzzo e tutte le Marche, che al Giro hanno dimostrato, tangibilmente e concretamente, di voler veramente bene. Anche se non dobbiamo confondere l’indifferenza dell’amministrazione comunale meneghina con la passione dei milanesi. Piccolo consiglio a patron Angelo Zomegnan: porti questo magnifico carrozzone di colori, sapori, emozioni, storie e passioni dove questo patrimonio d’Italia è considerato tale. Giri alla larga dalle città cannibali, che tutto divorano e tutto digeriscono con insolente noncuranza e presunzione. A Roma, incantevole ed eterna quanto si vuole, ci torni tra cento anni.
SENZA STORIA. Il Giro più veloce di sempre, con il minor numero di ritirati (169 gli arrivati, un record!), con nessuna vetta sopra i due mila metri, senza cime storiche e tempestose, senza pendenze mozzafiato, senza monumenti naturali che questo sport in cento anni ha elevato a mito. Un Giro senza Stelvio, Pordoi, Marmolada, Tre Cime di Lavaredo, Gavia, Mortirolo o lo Zoncolan. Un Giro che si è celebrato senza celebrare la propria storia: quella di un ciclismo epico. Un Giro che ha celebrato se stesso, ignorandosi un po’. Pedalando veloce e parlando piano, tutti i santi giorni di ciò che fu, e poco di quello che sarebbe stato. Alla fine abbiamo tutti assieme assistito ad un Giro apparentemente combattuto, che dalle Cinque Terre in poi è stato però senza storia.
COPERTINA CORTA. Ha vinto innegabilmente il più forte, il più continuo, il più scaltro e tatticamente avveduto. Un uomo da copertina, quindi, al quale però l’abbiamo parzialmente negata per questa perenne spada di Damocle che pende da anni sulla testa del ciclismo tutto. Potevamo fare percorso netto? Certo che no. Potevamo stare tranquilli dall’inizio alla fine? Certo che no. Poteva non saltare fuori dall’Austria l’ennesima stucchevole e pericolosa vicenda di presunto doping attorno alla maglia rosa? Certo che no. A sentire il procuratore di Denis Menchov, il modenese Raimondo Scimone, non c’è nulla di che temere: «È solo stato convocato come persona informata dei fatti». Sarà ascoltato: punto.
Intanto tocchiamo ferro, preghiamo tutti i santi e ci affidiamo al cielo. Menchov meritava una copertina. Ma la copertina che più ci preoccupa è quella del ciclismo, che è sempre più corta. Comunque la tiri, non copre più le nostre vergogne.
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