Quanta Italia (deteriore) c’è stata nella rappresentazione, che sarebbe apparsa solo grottesca, se non costituisse invece drammaticamente lo scenario non evitabile del nostro vivere quotidiano, della vicenda della elezione del Presidente del Comitato di vigilanza RAI!
Quanta Italia inaccettabile, di trasformismo e comodo, equivoci eloquenti, quanta Italia da stadio, di promesse elettorali rinnegate o camuffate, perfettamente confacente a quegli obbligatori talk show senza esiti se non il travaglio finto del gioco delle parti, in questa baruffa dove tutto e tutti sono stati il contrario di tutto e tutti, all’interno di uno schieramento e dell’altro!
Già, consentiteci anche da questa sede anomala di opinione, sembra che Pd e Pdl siano stati in questo feuilleton scritti ed interpretati sempre - alla resa dei conti - come in ragione di un errore tipografico, per un refuso come si diceva al tempo dei dimafoni...
In una atmosfera plumbea che imporrebbe un no-contest o una espulsione totale bilateralmente, come in quegli incontri di calcio dove la caccia all’arbitro resta la più naturale soluzione di ogni domenica e l’improperio rituale dal pomeriggio alla sera, che grande bella figura la discrezione mai ambigua, sempre equilibrata - socratica - di Sergio Zavoli.
Che bello, quest’uomo antico ed anticamente giovane, quest’uomo che viene dal nostro (e suo) ciclismo, identificato da TUTTI al di sopra, e non ai margini, di una siffatta baraonda, dove gli altri sembrano concorrere solo al gioco ruffiano dell’alzare il proprio prezzo di vendita. E di acquisto.
Quale sia stato l’esito di una nuova tribolazione malinconica della realtà socio-politica e civile del nostro paese, di questa “sceneggiata napoletana”, diritti di autore ad Antonio Di Pietro, quanta urgenza condivisa di un Sergio Zavoli a garante morale di uno stato e di questa sua opinione pubblica sempre più tele-dipendente, e come tale in debito della sua barra di orientamento, della sua voce forte, stentoreamente pacata.
Fuori, ma solo perchè molto più in alto, ripetiamo, del coro.
Lasciamo da parte l’ammirazione personale, ed anche l’affetto, per Zavoli. Non è il tempo della agiografia, o di una superflua apologia. Ma ci sia consentito di ricordare pubblicamente, una volta ancora, in specie a chi è tanto più giovane di noi, il dibattito encomiabile, quel modo garbato e mai banale nè offensivo di fare giornalismo, che nella stagione del Processo alla tappa, prima ancora dell’esemplare Tv7, Zavoli seppe creare nella televisione di stato. Quando quest’ultima non era ancora il parastato potentissimo, sinistro e perverso, se non determinante, della nostra realtà. Già, quel “cauto guardare”, proprio di uno Zavoli anche poeta.
Quanta voglia, ancora, in questa politica da curva A - o B ? - , dagli spalti stracolmi di un Colosseo degno della decadenza latina, della serenità maggiore, quella che proviene diritta dal fruscio delle nostre ruote senza motore, di Zavoli.
Ed è già confortante pensare, al proposito, come per il Giro del Centenario sia stato proprio lui prescelto, come noto, a Presidente del Comitato di Studio e di Ricerca su quel patrimonio di valori che il Giro ha costituito nella storia e nel costume italiano dal 1909 fino ad oggi. Anzi a domani.
Una antitesi aristocratica di unità e solidarietà nazionale, al cospetto dell’indecente clamore da condominio rissoso che ci flagella. E contro cui la lezione umana di Sergio Zavoli sembra stagliarsi con la ingualcibile austerità di una cattedrale romanica.
Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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