Si può tornare in pace. Anche con il ciclismo.
E con quella parte di noi che le appartiene. Si può respirare sereni, domenica 24 settembre, il Campionato del Mondo davanti al televisore, per una e per tante ragioni di più.
Abbiamo visto dapprima il brasiliano Luciano Pagliarini fare il clown, o più tecnicamente diciamo “il cavallo” dinanzi al pubblico delle transenne, prima di accommiatarsi su una ruota sola con un sorriso.
E ci siamo ricordati di quando, bambini, assistevamo incantati alle stesse prodezze realizzate da un pistard francese, Roger Gaignard, sul lungomare della nostra città, nelle riunioni del Primo Maggio.
Si diceva, tra i benpensanti tifosi allora di Maspes e Gaiardoni, che dal circo veniva e che per forza al circo equestre sarebbe tornato, altro che alle Sei Giorni di inverno, quel funambolo biondino dallo sguardo più malinconico che misterioso, la cui bici sembrava volteggiare verso il cielo.
Ed abbiamo spinto in fuga Nicolas Roche, maglia verde dell’Irlanda, il figlio di Stephen. Quel Roche maggiore, divisa Carrera, che era riuscito un tempo nell’impresa - unico della storia, oltre al solito Merckx - di vincere nella stessa stagione Giro, Tour e Mondiale. E che quel Mondiale suo l’aveva conquistato nell ’87 a Villach, guarda caso proprio in Austria. La stessa Austria dove diciannove anni dopo, a Salisburgo, il figlio Nicolas provava a rintracciarne le tracce.
E siamo stati così prima figli e poi padri, nel segno di quella passione unica che può far pulsare i sentimenti di una intima sintonia, fino ad arrivare, alzati in piedi, a Bettini. E prima di tornare perfettamente zii - “zio Paolo‚ - con la telefonata di nostro nipote Michele. Un nipote ormai adulto, che non ci cerca più da una vita. E non ci chiama, anzi, rinvigorito ormai dei suoi primi diciassette anni, dalla stagione di Pantani. Da quella fantasia di Marco Pantani che forse un po’ colpevolmente - come colpevole può essere uno zio che non è diventato abilmente grande ed ama ancora i secondi - abbiamo aiutato a costruire. «Zio Paolooo, ma hai visto che Bettiniiii?!».
Ho visto, eccome, Bettini. Ho visto Paolo Bettini, ho visto Pagliarini, ho visto Roche. Ho visto come riesce a sorridere ancora, beato lui forte ormai di sconfitte, Erik Zabel. Ho visto Bettini una volta di più, anche per mio nipote Michele che le corse non viene a vederle più con me e con le mie figlie, come nel tempo in cui Pantani volava più in alto di noi.
Ho visto il Mondiale del 2006, e tanto di più di quello che ho visto di reale mi è traversato dentro come un brivido, per quel filo sottile che può destare una emozione, un sentimento, un batticuore, nei diversi ruoli che ci destina il nostro essere uomini su questa terra. E che solo il ciclismo, al di là delle sue ferite contrarie, riesce ad infondere. Deo gratias, come un elisir benedettino di giusta vita.
Gian Paolo Porreca, napoletano,
docente universitario di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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