Forse se il Tour lo avesse vinto Pereiro Sio, ci saremmo re-inventati l’emozione di un nuovo Walkowiak, 40 anni dopo: una sorpresa nel 2006, cinquanta anni dopo quella del ’56. Ma ora che lo ha vinto Floyd Landis tra ascese-discese-risalite, l’unica cosa invece che ci rumina dentro -ma che colpa abbiamo noi? - è che questo americano pure sia in fondo creatura della Phonak, come l’anno scorso Pereiro Sio, e cioè in fin dei conti, ed in ultima analisi, appartenga a quella stessa squadra plurimartirizzata (o decorata?) sul versante del doping che prima del Tour aveva sanzionato Gutierrez Cataluna e Botero, due pazienti del celebre dottor Fuentes...
Proprio quel doctor Eufemiano Fuentes, epicentro della Operacion Puerto, che ad inizio Tour aveva platealmente dichiarato: «ci sono molte possibilità che il Tour 2006, nonostante le assenze imposte, lo vinca lo stesso uno dei miei...», senza specificarne il nome per una doverosa privacy.
Ed allora, in ossequio alla stessa filosofia di Fuentes, tra atleti decifrati ed atleti supposti, cani-indizi che non hanno colpa e bambini chiamati a testimoni dei nomignoli dei cani da impostori modesti, meglio consegnarci al silenzio sul Tour 2006 e su queste storie, per noi che possiamo concedercelo: fino ad una illuminazione plausibile.
Ci asteniamo dalle emozioni, allora, ma da medici e come tali obbligati al rispetto della oggettività dobbiamo (purtroppo) registrare invece un affondo di insidiosa portata messo a segno dai legali di Eufemiano Fuentes e del suo collega ematologo Josè Luis Merino Baires. I ciclisti incriminati o solo «pazienti» si presterebbero, prima della corsa, o della stagione agonistica, secondo l’interpretazione avvincente degli avvocati Tornos e Templado, alla pratica del prelievo e conservazione del proprio sangue, mica per farlo depurare o «truccare» in finalità dopante, ma tanto lucidamente per poterne avere a disposizione in caso di incidente.
Giusto, troppo giusto, un trauma, una caduta, e via dicendo: per reinfonderselo, in caso di bisogno. Come fanno, guarda caso, proprio in Spagna, ormai magister vitae, i toreri... Ed ancor più, come è prassi universale in medicina, per i pazienti, in previsione di un intervento chirurgico.
I ciclisti come i toreador, perché augurabilmente almeno non affini a malati conclamati. Ma, al di là del sospetto, questa tesi difensiva può rappresentare davvero un alibi concreto e poco oppugnabile.
Da costituire, si dice così?, giurisprudenza. O da procurare, ma solo di nascosto, e a sentenze acclarate, uno sberleffo alla Totò. Incassiamo una sconfitta parziale, sperando che la scienza dia altre più esaurienti risposte in merito, tra Rudicio e Birillo, Zapatero e Val.
Ma in coda ad un Tour che per noi è finito così come era partito, da miscredenti, ci è di conforto inatteso - da segnalare a chi non lo abbia recepito - l’Auro Bulbarelli a cuore aperto di domenica 23 luglio, ore 17 e dispari. Quel suo augurio, in buona fede, di aver proposto per tre settimane un entusiasmo ed un gesto sportivo coraggioso, ma di non averne garanzia, ci ha colpito. Bravo, Auro. Bravo, per l’onestà del dubbio, mettendo in gioco te stesso, senza più una chiamata di correo.
O un invito accettato da agnostico per un ennesimo valzer dei nostri cicleadores, gloriosi matadores di bici.
Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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