C’è una cosa a nostro avviso impagabile, a fronte di qualsivoglia stipendio, nel fare il professore: ed a qualsiasi livello, elementari, medie, superiori... Ed è il poter confrontare la propria esperienza, semmai il proprio scetticismo, con l’autenticità, e talvolta l’ingenuità, e di certo la fantasia accesa, dei più giovani.
E questo accade ancor più a livello universitario, dove forse i sentimenti dei ragazzi divenuti adulti - quando sentimenti veri, beninteso - possono dimostrarti uno spessore ancora maggiore.
Ti capita così di ritrovare Katia Canciello, la studentessa di Aversa, innamorata di Pantani, che l’anno scorso si laureò in Sociologia con una tesi sul doping, incentrata nello specifico sul dramma del Pirata, visto come vittima “innocente”‚ di un inarrestabile vortice di degrado socio-ambientale, prima che sportivo. Ti capita, sotto i cieli complici di San Valentino ovviamente, di risentire la sua devozione a Marco ed il suo desiderio di offrire alla famiglia, se non alla Fondazione Marco Pantani, una copia della sua tesi. Gesto di amore, di ragazza pulita, non iscritta ad alcuna fiction: il cuore in mano, distante dal sotterfugio pubblicitario, beata ancora lei.
Eti accade, venerdì 17 febbraio, di partecipare poi ad una seduta di esami, Malattie dell’Apparato cardiovascolare e respiratorio, seduta di fine anno accademico a Caserta, una sorta di ultimo appello per alcuni, un modo di prendere nuovo slancio per altri... E ti accade, al di là della considerazione accessoria - ma mica tanto, poi... - che proprio quella sola non era stata segnalata da colleghi e/o parenti, di notare una studentessa con il braccialetto giallo «Livestrong» al polso.
La più preparata di tutti, a ben ascoltare le domande e le risposte, al di là di una malcelata sintonia: 30, ed una lode morale, anzi morale due volte.
E ti accade di chiederle, a statino firmato, cosa sia mai e perché mai indossi quel monile senza costo volgare, e sentirsi rispondere - da Sabrina Rossetti di Casolla, in provincia di Caserta - che quello è il braccialetto ideato e promosso da un ciclista statunitense di nome Armstrong, per incentivare la lotta al cancro. E che lei se lo era procurato via internet, aspettando sei mesi e comprandone due decine - «perché solo a decine si possono acquistare» - e che li ha potuti regalare così ad amici e parenti, perché è un simbolo universale senza riserve di culto...
Eche non se lo toglie mai, nemmeno di notte, da un anno. E che no, del ciclismo è appassionato suo padre, ma lei niente affatto in verità: ma che come giovane studente di medicina la storia ed il gesto di Armstrong, il ciclista che vince il cancro e stravince i Tour, restano una vicenda senza eguali: incredibile. E che da grande, «ed ormai sono quasi arrivata», «mi piacerebbe fare l’oncologa», «proprio nel nome di Armstrong, come di sicuro si augurano tante persone al mondo».
Ed umilmente mi convincevo ancora, tra il ricordo di Pantani ed il braccialetto di Armstrong, tra lo struggimento del dolore rinnovato e la speranza di un dolore cancellato, che quel nostro ciclismo - al centro della parabola - era un incredibile ed arcano maestro di vita. Anche per un professore.
Gian Paolo Porreca, napoletano,
docente universitario di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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