Ci incontreremo ancora, anche quest’anno - “quelli che il ciclismo...”‚ - il weekend a cavallo tra settembre ed ottobre, a Gaiole in Chianti. Ci incontreremo, all’Eroica, la Cicloturistica d’epoca ideata ed organizzata da Giancarlo Brocci, nel nome di quei valori che le strade bianche delle colline senesi e l’anima di una piccola comunità sanno meglio illustrare, ad onorare il ciclismo del passato. Dei modi e dei sapori e dei colori del passato: che resta poi, per inciso, l’unico patrimonio che dà forza per guardare al futuro, nella vita di tutti i giorni come nel rettangolo festivo del ciclismo.
E di quella atmosfera magica di Gaiole, in questi giorni che hanno registrato la scomparsa dolorosa di un patron per antonomasia del ciclismo come Ambrogio Molteni, abbiamo impressa la immensa palestra scolastica, nobilitata a galleria del cuore, piena di cimeli privati, giornali, bici dismesse e più amate di prima, figurine, e quelle pareti illuminate dalle maglie del ciclismo: non di epoca, ma di sempre. Maglie univoche, non patch-work di decalcomanie, vendute a centimetro quadrato come un lotto di villette a schiera, maglie di un sol gusto, come la Faema, come la Bianchi, come la Lygie, come la Salvarani, come la Ti-Raleigh. Come innanzitutto, per la sua tenacia di presenza nel tempo, dal ’58 al ’76, la maglia Molteni, la Molteni di Arcore, con quella orgogliosa precisazione di appartenenza geografica, che appare oggi quasi ingenua, nell’ottica delle attuali multinazionali: quando Arcore, semmai sull’onda emotiva di un Michele Dancelli primo alla Sanremo del ’70, suscitava un plebiscito, e non un referendum...
Pensiamoci, dal ’58 al ’76, ben diciotto anni di attività nel ciclismo, grande o meno, che differenza fa in fondo, sempre ciclismo professionistico è stato, al confronto di stagioni come queste nostre, impervie ed aggrovigliate a spirale su se stesse, dove le sponsorizzazioni fin troppo laute durano un quadriennio al massimo. E dove i nomi e le sigle aziendali dei team, oltre alle maglie, non riescono ad edificare un ricordo, e tantomeno un sentimento.
Molteni, allora: dal capostipite, il commendator Pietro, fino ad Ambrogio, l’epicentro del ciclismo targato Molteni. Ed a passare in rassegna le formazioni di quelle squadre, le sue fotografie, a cavaliere di un ventennio, ci è parso curiosamente di cogliere una chiave di lettura della evoluzione non solo del nostro sport, ma anche del costume e della società italiana.
La Molteni che all’esordio, timido ’58, ha addirittura come direttore sportivo... un Molteni, Ruggero, figlio di Piero, ed è una singolare miscellanea di tedeschi, svizzeri ed italiani: Junkermann, Schaer, Reinecke, Buratti, De Gasperi, Piazza. E poi riprova con un grumo di olandesi avventurosi: Niesten, Damen, Wagtmans, (quel Wout Wagtmans, che al Giro ’60 non avrebbe certo mai pensato che undici anni dopo un suo nipote, Marinus, avrebbe corso un Giro per la stessa squadra italiana...). E poi scommette su Romeo Venturelli, nell’immediato dopo Coppi. E poi, dopo Carlesi e Cerato, comincia ad articolare, a fine anni ’60, un forte progetto made in Italy, con De Rosso, Dancelli, Motta, Basso...
E poi, dopo la meteora Vianelli, guarda per la vittoria più in là, formato export, e nel ’71 approda metaforicamente in Belgio, tra Giorgio Albani e Fiorenzo Magni, Guillaume Driessens e Robert Lelangue, e vi trova l’enorme Merckx: Merckx ed i suoi, in maglia Molteni, da Swerts a Spruyt, da Vandenbossche a Bruyere, da Huysmans a De Schoenmacker, con la radice italiana affidata a Tosello e Bellini. Merckx, per sempre, o almeno fino alla Sanremo ’76, la sua settima Sanremo, e l’ultima gloria assoluta. Per Merckx. Ed in fondo anche per la saga Molteni.
L’almanacco del ’77 non li vedrà più. Ed oggi che con la sigla Salmilano Mario Molteni, il figlio di Ambrogio, ribadisce il suo amore per il ciclismo, sarebbe almeno bello che a Gaiole in Chianti, o in una altra occasione di incontro per sport vero, si ricordasse una storia italiana chiamata, almeno sulle strade del ciclismo, solo per nome: Molteni. Un’idea, un concetto.
Gian Paolo Porreca, napoletano,
docente universitario di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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