di Giulia De Maio
Non ha il fisico di un lanciatore, di giavellotto o peso che sia, ma ama lanciare oggetti. Soprattutto quando è felice. Nel video della Trek Segafredo in cui veniva annunciato il suo rinnovo fino al 2024, Giulio Ciccone scherzava lanciando una tazzina dopo aver bevuto un caffè, una borraccia, una rivista e il contratto che lo lega alla formazione americana che punta su di lui per i grandi giri. Il lancio dell’occhiale è ormai un suo marchio di fabbrica, quando vince se siete in zona arrivo state pronti a cogliere l’occasione di appropriarvi di un cimelio di un professionista che punta a diventare campione. Il geco d’Abruzzo nel 2022 vorrebbe prima di tutto lanciare fuori dalla finestra la sfortuna, che lo ha bersagliato negli ultimi due anni, per arrivare a lanciare i fiori che spettano a chi sale sul gradino più alto del podio.
Voltiamoci per un’ultima volta indietro, che voto dai al tuo 2021?
«6, nè di più nè di meno. La giornata migliore è stata la tappa in Abruzzo del Giro d’Italia con arrivo a Campo Felice, quando finii secondo alle spalle di Egan Bernal. I momenti peggiori mi hanno visto finire per terra: alla corsa rosa, dopo 40 km dal via della prova olimpica in linea di Tokyo2020 e alla Vuelta il 31 agosto. Quest’ultima è stata la “mazzata” più pesante da assimilare».
Ora come stai?
«Sto bene, ho ripreso la preparazione da due mesi. La pausa invernale per me è stata più lunga del solito per colpa dei problemi al ginocchio conseguenti la caduta che mi ha costretto al ritiro dalla Vuelta. Dopo il periodo di stop forzato e la necessaria riabilitazione, ho faticato più degli anni passati a riprendere il ritmo ma è normale visti i tanti giorni senza bici. La stagione è lunga e c’è tempo per arrivarci pronto, non mi preoccupo».
I programmi per il tuo 2022 sono molto ambiziosi.
«Sì, tenterò la doppietta Giro-Tour come nel 2019. Esordirò alla Valenciana, correrò la la Tirreno-Adriatico, disputerò le classiche delle Ardenne con un focus particolare su Freccia e Liegi, quindi arriverò al Giro. Rispetto alla Grande Boucle, la Corsa Rosa ha un percorso adatto alle mie caratteristiche: presenta tappe dure e meno chilometri a cronometro, e i rivali per la classifica di solito sono meno temibili di quelli che lotteranno per la maglia gialla. Partirò con il sogno di un podio, ma senza voler sparare troppo alto. L’obiettivo sarà vincere, tornare a vincere, strada facendo valuteremo se concentrarci solo sulle tappe o anche alla classifica. L’anno scorso non sono riuscito a testarmi come volevo nelle tre settimane, ma a livello di prestazione sono stato più forte che mai. Un tempo per vincere dovevo attaccare da lontano, ora per un successo sono in grado di lottare testa a testa con i migliori come ho dimostrato nella tappa di Campo Felice. In questa edizione la corsa rosa tornerà nel “mio” Abruzzo: la tappa del Blockhaus sulla carta è una delle più dure del percorso, correndo sulle strade di casa un occhio di riguardo lo avrò, ma se voglio curare la classifica ogni giornata sarà decisiva».
Senza Vincenzo Nibali, avrai maggiori responsabilità?
«La Trek-Segafredo ha dimostrato di credere in me, questo mi tranquillizza e mi stimola a dare il massimo. Purtroppo sia io che lo Squalo negli ultimi due anni abbiamo vissuto le nostre peggiori stagioni, ma tra noi resta un buon rapporto. La nostra coppia non ha funzionato per vari motivi, ma adesso bisogna guardare avanti. Da Vincenzo ho imparato come si vive una corsa a tappe, non solo durante la gara. So che in Italia tutti aspettano un giovane in grado di lottare per la maglia rosa. Io lavoro e faccio tutto al massimo, senza mettermi troppe pressioni. Certamente nel 2022, partendo con i gradi di capitano, dovrò correre in modo più oculato, senza spendere energie inutili, come ho fatto nel 2021 per testarmi dopo il covid. Come ognuno dei miei compagni e compagne faremo del nostro meglio per essere protagonisti dalla prima all’ultima corsa dell’anno».
Che Ciccone vedremo nel 2022?
«Senz’altro più maturo. La prima cosa che vorrei lanciare fuori dalla finestra per iniziare l’anno al meglio è la sfiga, che negli ultimi due anni non mi ha dato tregua. Nel 2020 stravolto dalla pandemia, ho sofferto in prima persona per il covid, nel 2021 sono mancati i risultati per colpa di cadute e incidenti che avrei volentieri evitato. Come prestazioni non sono deluso, ma i watt non valgono come i risultati, che non sono arrivati. L’anno passato, con tutte le sue difficoltà, mi ha insegnato parecchio. Riparto più forte. Il 2019 mi ha dato più soddisfazioni con la mia seconda vittoria di tappa al Giro, la maglia blu di miglior scalatore alla corsa rosa e i due giorni in giallo al Tour de France, ma nel 2021 ho espresso numeri migliori. L’asticella si è alzata. Nel complesso sono andato più forte quindi mi approccio al nuovo anno con la consapevolezza di poter far bene nelle corse a tappe».
Al tuo fianco, sia al Giro che al Tour, avrai Mollema.
«Bauke è un ragazzo bravo e forte, caratterialmente totalmente diverso da me, ma insieme possiamo fare bene. Io di natura sono un corridore aggressivo, esuberante, ma saprò gestirmi e avrò compagni validi a sostenermi. L’anno scorso alla corsa rosa sono partito per testarmi, Vincenzo era leader, nella prima settimana ho sprecato energie per capire quali strascichi mi aveva lasciato il covid, con il senno di poi se mi fossi risparmiato sarei stato più forte nelle tappe finali. Ad ogni modo, ho voltato pagina e dal ritiro in America di questo inverno ho resettato tutto. È stato interessante girare sulla pista di Formula 1 di Austin quanto assistere a una partita di football americano. Di certo, per il fisico che mi ritrovo, non è uno sport che fa per me, posso giusto limitarmi a vederlo, anche perchè ancora non ne ho capito le regole (ride, ndr)».
La squadra è stata in gran parte rinnovata.
«Sì, abbiamo tanti corridori nuovi, ma l’ambiente è sempre sereno e familiare. La parità uomo-donna è una realtà assodata, esiste una squadra unica, un progetto valido che sta procedendo bene, come dimostrano i risultati ottenuti sia dal gruppo maschile che da quello femminile. Siamo stati in ritiro ad Altea, in Spagna, fino al 22 dicembre. Ho festeggiato il mio compleanno il 20 lontano da casa, ma nel calore di compagni e compagne, mangiando la buonissima torta preparata dal nostro chef Mirko Sut. Abbiamo un personale super professionale: per la preparazione sono sempre seguito da Josu Larrazabal e non abbiamo apportato nessun grande cambiamento. Stagione dopo stagione miglioriamo il piano di allenamenti in base ai dati, perfezioniamo alcuni aspetti, aggiustiamo qualcosa sui materiali e la posizione sulla bici da crono, su cui abbiamo iniziato a lavorare dopo il Giro 2021. Dall’anno scorso ho cominciato a curare anche gli aspetti mentali insieme alla psicologa del team Elisabetta Borgia».
Come hai reagito alla notizia del general manager della squadra Luca Guercilena costretto a prendersi una pausa dal lavoro per combattere un linfoma?
«Mi ha colpito un po’ di più degli altri perché ci sono passato a livello familiare. Mamma Silvana è dal 2019 che ha a che fare con il cancro, continua con le sue terapie e sta abbastanza bene ma, usando una metafora ciclistica, la salita è dura. Le feste le ho passate in famiglia e me le sono godute, crescendo si capisce quali sono le priorità e la salute delle persone a cui vuoi bene è in prima posizione. Negli ultimi tempi sono stato in pensiero anche per il mio procuratore Johnny Carera, coinvolto in un assurdo incidente stradale a fine novembre. Da quando è uscito dalla terapia intensiva, l’ho sentito telefonicamente praticamente tutti i giorni. Le cose sembrano andare per il meglio per tutti, bisogna avere pazienza e speranza».
Cosa ti auguri per l’anno nuovo?
«Innanzitutto fortuna, tanta perché ne ho veramente bisogno, e per tutti di tornare alla normalità dopo il covid. A fine 2022 sarò contento se riuscirò a portare a termine qualcosa di importante, intendo un grande giro, senza dovermi fermare prima per la malasorte. Vestire la maglia gialla di leader del Tour de France nel 2019 è stata un’emozione inattesa quanto forte, nel 2022 vorrei provare quella di indossare la rosa».
A 27 anni sei nel pieno della maturità, ma ci sono talenti giovanissimi con cui dovrai vedertela.
«Rispetto a loro io mi sento di appartenere alla vecchia generazione. Sono cresciuto con calma, da junior andavo al mare ed ero un ragazzo normale, non facevo la vita del professionista, come chi è emerso a 20 anni o poco più nelle ultime stagioni. Il mio è stato un cammino più tradizionale e graduale, anche a livello di sviluppo fisico. Sono passato nella massima categoria nel 2016, da allora il mio fisico è totalmente cambiato. La crescita è fondamentale per le prestazioni, io sono fiducioso per i prossimi 2/3 anni perché saranno quelli durante i quali posso rendere al top. Al momento nei grandi giri Pogacar, Roglic e Bernal hanno una marcia in più. Bisogna essere realisti e lavorare sodo. Sognare però non costa nulla».
Anzi, dopo due anni da incubo, è doveroso.