di Francesca Monzone
Nato nelle Fiandre, la sua impresa più bella l’ha compiuta in Italia, alla Milano-Sanremo quando, conquistando il traguardo di via Roma, ha scritto il suo nome nella prima Classica Monumento dell’anno. Il pubblico sulle strade della Classicissima non c’era, il silenzio e l’attesa regnavano sovrani in una Sanremo blindata nel pomeriggio del 20 marzo. Tutto è stato interrotto improvvisamente dal rumore delle bici spinte dalla forza straordinaria dei corridori, capitanati da Jusper Stuyven che, nella splendida città della canzone italiana e del ciclismo, ha conquistato la sua vittoria più bella. In Belgio la corsa è stata seguita da un milione di fiamminghi, attenzione non belgi ma fiamminghi, che avevano la certezza che uno dei loro ragazzi avrebbe scritto il proprio nome nell’albo d’oro della corsa. La maggioranza aveva visto in Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel i favoriti, ma Jasper l’esuberante ha imposto la sua legge.
Niente pubblico sulla Riviera, ma per lui sotto il palco delle premiazioni, c’erano i compagni di squadra Ryan Mullen e Quinn Simmons, due amici speciali che hanno condiviso con Jasper ogni istante di quell’indimenticabile giorno.
La vittoria in una Classica Monumento è qualcosa che in pochi possono raccontare e la Milano-Sanremo è quella Classica particolare, lunga e imprevedibile nella quale la vittoria, che sembra a portata di mano, può sfuggirti all’improvviso, perché su queste strade il successo lo raggiungi con gambe, testa e cuore, superando la soglia del dolore, quando la forza nei muscoli sembra essersi esaurita.
«Nel finale ho vissuto i chilometri più difficili della mia vita - aveva raccontato Stuyven immediatamente dopo la corsa -. Ho fatto una fatica pazzesca, ma sono riuscito a resistere perché conquistare una Classica Monumento è qualcosa di incredibile e io volevo farcela a tutti i costi».
Resistere, guardare avanti e allo stesso tempo cercare di capire le mosse dell’avversario, per sorprenderlo e attaccarlo: questo è quello che il ventottenne belga aveva nella testa.
«Sapevo che sul Poggio ci saremmo studiati per capire chi avrebbe attaccato per primo. C’erano tutti i corridori più forti del mondo e lì ho capito che dovevo fare qualcosa e anticipare tutti se volevo veramente vincere».
Il finale lo conosciamo, Stuyven ha trionfato portandosi dietro anni di ciclismo difficile, dove non sempre per lui le cose sono andate bene.
A gennaio il futuro vincitore della Sanremo aveva le idee chiare e qualcosa nella sua mente già gli faceva presagire quello che sarebbe accaduto qualche mese più tardi. «Van Aert e Van der Poel sono molto forti, ma è sicuro che non possono vincere sempre loro». Parole che pronunciò in Spagna e che avevano un suono profetico, perché a Sanremo erano proprio loro i favoriti, colpiti poi dall’attacco a sorpresa del fiammingo. «Loro sono molto forti, ma io non vado alle gare per un terzo posto, sarebbe un fallimento - aveva detto - e non è con questa testa che si va in gara. Ho avuto un buon autunno e penso di poter affrontare una buona primavera. Ho aumentato i miei punti di riferimento, partendo da dove ero rimasto in autunno. Ho lasciato un buon Jasper ma devo essere un super Jasper».
Nella Trek Segafredo è arrivato nel 2014, dopo aver militato per due stagioni nella Bontrager. Erano quelli gli ultimi anni di Fabian Cancellara, che in quel triennio finale nel team statunitense, conquistò un Giro delle Fiandre occupando anche un secondo posto alla Milano-Sanremo e portando a casa la sua terza vittoria a Strade Bianche. Lo svizzero, considerato uno dei migliori corridori dell’ultimo ventennio, aveva indicato Stuyven come un giovane da far crescere in squadra, perché avrebbe dato sicuramente risultati importanti. Il Belgio credeva nel futuro di quel ragazzo, anche perché le garanzie arrivavano da un talento come pochi che nel 2009 ai Campionati del Mondo juniores aveva conquistato la maglia iridata davanti ad Arnaud Demare e Marco Haller. Ma prima di arrivare alle vittorie recenti del talentuoso belga, bisogna fare un salto indietro nel suo passato di giovane esuberante, quando nella sua Lovanio era considerato una testa calda, poco incline alle regole e alla normale condotta scolastica.
Jasper Stuyven è cresciuto a Lovanio, sede dell’università più antica del Belgio, città che quest’anno ospiterà i Campionati del Mondo su strada. A scuola Jasper era considerato un ragazzo ribelle, di quelli che non seguono nessuno, talmente difficile da gestire che venne sospeso più volte alle scuole superiori. «È una storia che rimarrà lì per sempre - aveva detto ripensando ai tempi della scuola –. Non facevo nulla di folle, mi ribellavo solo un po’. Le cose non funzionavano molto per me e facevo fatica a seguire le regole della scuola, forse ero io a non essere molto collaborativo».
Jasper era un ribelle, il suo problema non era lo studio bensì il rapporto con i docenti e quella divisione così netta dei ruoli. «Per me era difficile accettare la gestione della scuola, come venivano fatte certe cose, ma in particolare il modo in cui si comportavano gli insegnanti: noi siamo qui, tu sei lì. Venivamo messi su due piani diversi e per me era quasi impossibile accettare tutto questo».
Stuyven non solo è riuscito a diplomarsi, ma per un certo periodo si è anche iscritto all’università sostenendo molti esami in Management delle vendite. Gli studi gli piacevano, ma gli impegni sportivi hanno preso il sopravvento: il belga non esclude di poterli riprendere un domani. Il senso degli affari non gli manca e da qualche anno, insieme ad uno zio, ha aperto una cioccolateria. Nel suo negozio a nord di Lovanio viene venduto solo cioccolato di alta qualità, quello fatta a mano e che viene esportato un po’ in tutto il mondo. «Mio zio ha sempre lavorato nel settore del cioccolato, ma nella grande distribuzione. Voleva un negozio piccolo al quale dare il mio nome e, visto che io adoro il cioccolato, esattamente una settimana prima della mia vittoria alla Kuurne 2016 abbiamo aperto questo negozio. Ci vado raramente perché vivo a Monaco con la mia fidanzata Elke, però mi piace pensare di avere un impegno in un’attività commerciale quando non sono alle corse».
Il ragazzo della Trek Segafredo ha imparato presto a mettersi in mostra, dimostrando di saper soffrire in corsa. Era il 2015 quando alla Vuelta di Spagna, con una mano completamente fratturata in una caduta a 50 chilometri dal traguardo, vinse l’ottava tappa. Soffrì per raggiungere il successo e il giorno dopo non riuscì a ripartire. «Sentivo di poter fare bene in quel tipo di corsa dall’inizio della stagione, ma non ho avuto la possibilità di dimostrarlo. Quella vittoria è stata un sollievo quando ho ripensato a tutti i sacrifici che avevo fatto. Purtroppo dopo quella caduta ho dovuto rivedere molte cose e anche riprogrammarmi».
Se al liceo Stuyven era un ragazzo dal temperamento forte e inquieto, difficilmente domabile, in squadra è da sempre un atleta idolo, che ha avuto il grande merito anche di scegliersi un modello di corridore - Fabian Cancellara - capace di indicargli la strada giusta.
Il ragazzo di Lovanio ebbe un ruolo importante nel 2014, aiutando il campione svizzero a raggiungere la vittoria al Giro delle Fiandre. L’anno successivo fu Fabian che, impossibilitato a correre le classiche a causa di un infortunio patito alla E3 Harelbeke, chiamò più volte Stuyven al telefono, prima del Fiandre e della Roubaix, dispensandogli consigli.
«È difficile dire quanto ho imparato da Fabian, ma è più corretto soffermarsi su quanto io fossi disposto a farlo. Fabian non è solo quello che ti dice, perché tante cose devi impararle seguendolo con lo sguardo. Ero attento a tutto, a come si comportava con gli sponsor e con i fan e alla capacità che aveva di concentrarsi. Fabian diceva che lui era l’uomo delle Classiche di oggi e che io sarei diventato la star delle Classiche di domani».
Ci sono somiglianze tra loro due, ad esempio sono alti 186 centimetri ed entrambi sono stati campioni del mondo nella categoria juniores. Il belga, l’anno successivo, riuscì a conquistare la Parigi-Roubaix juniores. Con quella vittoria, nel suo Paese venne indicato come il futuro del Belgio nelle corse di un giorno e dalla stampa è stato immediatamente ribattezzato il nuovo Tom Boonen. La pressione era talmente elevata che iniziarono i problemi, così arrivò la scelta di attraversare l’oceano e andare alla Bontrager-Livestrong, il team statunitense di Axel Merckx. «Quello fu un periodo davvero fantastico per me. Era bello essere lontano da tutta la stampa. Avevo vinto il mondiale e tutti si aspettavano tanto da me e quello fu un modo per sparire e la gente si dimenticò per un po’ di Jasper».
I successi importanti da professionista sono arrivati a cominciare dal 2016, quando vinse la Kuurne-Brussel-Kuurne davanti ad Alexander Kristoff e Nacer Bouhanni. Poi alti e bassi e quel traguardo importante che sembrava non voler arrivare. Stuyven è un corridore veloce che preferisce finali impegnativi, dove potersi lanciare per conquistare la vittoria. Ha vinto la Omloop Het Nieuwsblad lo scorso anno e quest’anno il grande salto con la Milano-Sanremo, quando i favoriti erano altri. Ma c’è una corsa che ama e che vuole vincere: è la Parigi-Roubaix.
«Ho immaginato tante volte di vincere la Roubaix. Era il mio più grande sogno vincerla da junior, da Under 23 e poi da professionista. Sfortunatamente nel mio ultimo anno da Under, hanno cancellato la corsa, anche se sono arrivato vicino alla vittoria con un secondo posto nel mio primo anno in quella categoria».
Nella mente di Stuyven ci sono le Classiche, ma c’è pure posto per il Tour de France, anche se il suo cuore già batte soprattutto per il prossimo Mondiale, che si correrà sulle strade della sua Lovanio.
«È tutta la vita che sogno un Mondiale sulle strade di casa. La corsa passerà esattamente a 150 metri da dove abitano i miei genitori. Spero chiaramente di meritarmi la convocazione, perché un’occasione così non mi ricapiterà più. Sarebbe straordinario vincere proprio sulle strade dove sono cresciuto».