Caro ciclismo, devi crescere
di Gian Paolo Ormezzano
Mi accade ogni anno, a dicembre, da ormai diciassette anni, di organizzare la raccolta dei voti per il referendum annuale de La Stampa sull’atleta italiano dell’anno. Tocca a me fare la metà delle telefonate ai giurati che sono una cinquantina, cioé i colleghi del giornale organizzatore, un gruppo di personaggi della cultura assai attenti alle cose sportive, i colleghi delle stanze dei bottoni del giornalismo sportivo, i premiati delle precedenti edizioni. Ottima occasione fra l’altro per fare gli auguri di buon Natale e buon anno e per ritrovare amici anche antichi. E per sapere cosa pensano del nostro sport personaggi illustri. Più o meno tutti mi chiedono qualche indicazione, una rosa di nomi, magari anche l’andamento dei voti sin lì acquisiti. Mi è così accaduto di segnalare Fabiana Luperini, che ha raccolto designazioni quasi subito. E di sentirmi chiedere: ma esiste davvero il ciclismo femminile? ma come si chiama già quella là, la piccolina? ma come mai non ha vinto anche il titolo mondiale?
Penso che il fenomeno Luperini sia stato malamente sfruttato da noi del ciclismo, impegnati ufficialmente o no a fare buone cose per il nostro sport. Penso a cosa avrebbe fatto, con un decimo e anche meno della Luperini, il tennis, capace di occupare giornali e tivù con una vittoria di una italica squinzia nel primo turno degli Internazionali di Roma.
La Luperini è andata avanti, vincendo o facendo intendere di poter vincere, per quattro mesi e più. Ha conquistato il Giro d’Italia e il Tour de France, e ha perduto il Mondiale che sembrava già suo (se invece fosse andata vicina a vincerlo, però non da favorita, avremmo scritto «ha perso»; la differenza c’è e si avverte, si sente). Piccola, gentile, sorridente, ciarliera, attenta, saggia, istruita, umile ma non dimessa, era da scaraventare in televisione ad ogni costo e ad ogni prezzo, a pro del ciclismo tutto, non solo del ciclismo femminile. Si è fatto poco, e ogni minuto di televisione in meno, rispetto a cosa si poteva ottenere, è adesso un’ora in meno di vita celebre tolta alla Luperini, che ha davanti a sè, nel ’96, nuove montagne da scalare per la celebrità, e tolto in fondo al ciclismo tutto.
Povero caro ciclismo, pudico anche nella sua diva. Da pensare che, messo sotto accusa per doping all’anfetamina, all’efedrina, alla simpamina, alla caffeina, alla cocaina, alla somatropina, alla eritoporoteina, il ciclismo abbia avuto paura della sua eroina.
Ci sono quest’anno meno notizie del solito su vacanze esotiche dei pedalatori celebri. Negli ultimi tempi c’era stata un’orgia di Antille, di Sudafrica, di Florida, di Australia, di Polinesia negli appuntamenti invernali degli assi. Adesso non è che siano tornate di moda le riviere italiane di Puglia, Liguria, Sicilia, Sardegna, ma l’idea generale è che ci sia stato un taglio a certi viaggi.
Non ne sappiamo il perché, ma non riusciamo ad essere scontenti. Il ciclismo esotico nacque ufficialmente con il viaggio di Fausto Coppi a fine 1959, per andare a caccia nell’Alto Volta, adesso Burkina Faso, e pare proprio che il Campionissimo abbia preso lì quella malaria assassina, il sospetto è bastato per un po’ di anni senza avventure. Poi ecco la moda, rapida e abbastanza dirompente, delle vacanze in posti lontani, di solito su invito, o meglio pagando con un paio di circuiti senza ingaggio. Adesso un passo indietro, che sicuramente non è dovuto a ristrettezze.
Un passo indietro che a noi piace non spiegare. Quando puoi circondare nuovamente un tuo caro con un abbraccio casereccio, non ti chiedi il perché se non dopo averlo abbracciato a lungo. E per più di una volta.
Z Z Z Z Z
Adesso che li regolamentano bene, sarebbe opportuno mettere su, ad opera magari della federazione, un 144 per il ciclismo. Risposta a quesiti, consulenza per acquisti di bici, per piani di allenamento, per itinerari cicloturistici, per tesseramenti, per costituzione di club, per organizzazione di gare. E per l’utenza spicciola, soluzione di scommesse, rievocazioni di gare, di ordini d’arrivo storici, nonché notizie fresche. Possibilità di agganciare questo o quel campione, a giorni fissi, ad ore fisse.
Tanto da fare, da dire con un 144. Il ciclismo dovrebbe battere in volata ogni altro sport. E intanto sistemarsi anche su Internet.
Forse sarebbe l’unico 144 in cui si parlerebbe d’amore, anche fra uomini, senza essere gay: perché quasi tutti i dialoghi del ciclismo sono d’amore, non ci avete mai pensato? Il ciclismo è uno sport carico d’amore sereno, mentre il calcio è sport carico, se non di odio, di tensione accesa. Persino tra le bestie di pelle dura che sono i giornalisti, quelli del ciclismo amano il loro sport, quelli del calcio amano la loro squadra, il loro campione. Per questi ultimi potrebbe funzionare una linea di quelle con il doppio zero, nelle quali si sparano oscenità a interlocutrici che magari stanno alle Bahamas e fanno la calza mentre parlano ai nostri assatanati.
Gian Paolo Ormezzano, 60 anni, torinese-torinista,
articolista de “La Stampa”
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