W Atene olimpica!
A noi basta il mondiale veronese
di Cristiano Gatti
Per decreto superiore, ottobre è il mese mondiale. Ciclisticamente parlando, era il mese della nausea, ma adesso è tutto diverso: nauseati o no, bisogna tirare in lungo, e poco importa che da diversi anni il vincitore del Tour, presumibilmente uno dei più forti corridori del pianeta, salti bellamente l’appuntamento. Come dicono ai livelli più alti, i campioni passano, ma il mondiale resta.
Dopo la Spagna, dopo l’Olanda, nel ’99 tocca di nuovo a noi. All’ultimo Giro d’Italia già ci hanno fatto assaggiare il percorso e il clima che il campionato del mondo troverà a Verona. Io mi schiero fin da adesso, anche se non sono veneto: faremo un figurone. Non ho il minimo dubbio. In quella regione il ciclismo è una mezza religione. Ma soprattutto ci sono persone serie che quando si mettono in testa un obiettivo lo centrano a ogni costo, anche lavorando giorno e notte. Sono zone in cui è ancora alto il senso dell’orgoglio e della dignità, dove comunque è ancora diffuso un ancestrale e istintivo senso del dovere, per cui se una cosa dev’essere fatta, viene fatta nel modo migliore.
Queste rassicuranti considerazioni acquistano un valore particolare proprio nell’attuale periodo, con l’Italia palazzinara ancora sotto choc per l’umiliante sconfitta nella temeraria corsa olimpica. Ha vinto Atene, Roma è salva. Affranti e sconvolti, i fumosi e megalomani capicordata de noantri ancora non si capacitano. Ci avevano assicurato una vittoria, soprattutto l’avevano assicurata al mondo affaristico e parassita del sottobosco romano, pronto con le fauci spalancate e con l’acquolina in bocca a catapultarsi su un altro decennio di scempio e di guadagno facile. Certo: messo così, è un trauma. Diciamolo: è un trauma soprattutto per il presidente del Coni Pescante, che tra l’altro non è neppure capace di perdere e ancora adesso va in giro a irrorare veleni contro questo o contro quello, addirittura bollando come politica la decisione del Cio, proprio lui, che sulla politica galleggia da una vita, ogni volta ritinteggiandosi a seconda del colore di moda. Accecato dall’ira, obnubilato dai rancori, il sacerdote del nostro credo olimpico ancora non s’è deciso a spiegare come mai ci avesse assicurato un duello sul filo di pochi e voti, quando invece Atene ci ha battuti doppiandoci con una gamba sola. Domanda da poche lire: non sarà che la nostra delegazione, la nostra capitale, il nostro mondo lobbistico hanno puntato tutto sugli obsoleti e contorti metodi della politica all’amatriciana, convinti che funzionino anche oltre Chiasso, mentre nel vituperato e sputtanatissimo consiglio del Cio sopravvive in fondo una semplice logica di efficienza e di credibilità?
Ovviamente nessuno mai risponderà a domande così ingenue. Ma non è grave. A noi, che di questa Roma olimpica abbiamo visto solo la spettrale prospettiva affaristica, basta e avanza la decisione del Cio. Viva Atene, Roma è salva. E lasciamo pure che Pescante, adeguatamente sostenuto dal suo coro veltronian-rutelliano, intoni canti da prefiche a lutto con cadenze da «osteria numero uno, paraponzi-ponzi-po». Il blitz è sventato, conta solo questo. E lasciamoli pure continuare con la litania dell’occasione mancata, con l’assicurazione di un grande avvenimento che avrebbe ridicolizzato anche l’organizzazione americana. L’importante, per un popolo, è conservare buona memoria. Io personalmente non dimenticherò mai lo spettacolo di teutonica efficienza che abbiamo diffuso per il mondo nelle ultime Universiadi. Tornando a noi del ciclismo, non dimentico neppure quello dei mondiali di Agrigento: il giorno dopo l’ultima gara, il presidente e ispiratore dell’avventura (si dice del sogno?) Ingrillì era già sul primo aereo buono per gli Stati Uniti, ovviamente inseguito dai creditori.
Piccola considerazione, e poi chiudo. Naturalmente non sono così ingenuo da pensare che i greci faranno molto meglio di noi. Anzi. Ma da un punto di vista puramente pratico, diciamo pure biecamente egoistico, preferisco un ipotetico sacco di Atene all’ipotetico sacco di Roma. E poi, biechi e meschini fino in fondo, diciamola tutta: a noi basta il mondiale veronese. Sarà sicuramente uno spettacolo di cui andare fieri. Soprattutto, sarà un piacere assistere alle gare senza l’inquietante sensazione che qualcuno, nel frattempo, si stia godendo ozi privati con pubbliche finanze.
Cristiano Gatti, 40anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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