C’’è sempre qualcosa da imparare. In questo periodo abbiamo finalmente capito perché lo sport più bello del mondo, il ciclismo, soffra in Italia di arretratezza organizzativa e di emarginazione culturale. C’è un losco colpevole, un oscuro boicottatore, un bieco disfattista: Felice Gimondi. Magari noi credevamo che costui fosse l’ultimo campionissimo italiano, nonchè l’ultimo vincitore al Tour de France (anno 1965, con un po’ d’impegno si arriva dritti al prestigioso cinquantenario). E forse credevamo persino che poi, una volta sceso di bicicletta, fosse un sobrio signore capace con il suo solo nome di accreditarsi rispetto e considerazione in giro per il mondo. Questo, almeno, credevo io, che l’ho prima adorato come campione della mia adolescenza, e quindi stimato come uomo di poche chiacchiere e buona sostanza nella versione attempata.
Niente, è un tragico malinteso. Il popolare Gim ci ha subdolamente ingannati: in realtà è il personaggio che in tutti questi anni ha affondato il movimento, condannandolo a un fosco Medio Evo. Così appare dagli ultimi avvenimenti che si registrano nel Palazzo del ciclismo, dove tutti si agitano sempre moltissimo, almeno a livello di nomine e di congiure: se poi un giorno si decidessero a destinare una quota anche minima (diciamo un venti per cento) di questo dispendio energetico al varo di qualche idea, la pedivella tricolore veleggerebbe trionfale verso i più impensati traguardi. Per il momento, invece, siamo fermi alle manovre di assestamento politico. L’argomento non meriterebbe più di tre righe, perché assolutamente indigeribile, tragicamente noioso e sinistramente incomprensibile. Ma come fatto di costume sportivo stavolta merita un minimo di sottolineatura. C’è di mezzo la Lega, cioè l’associazione che raduna gruppi sportivi, organizzatori e quant’altri, parti e controparti, come se Confindustria e Cgil, Romiti e Bertinotti, fossero tutti quanti rappresentati dallo stesso organismo. Basterebbe questo per spiegare come mai la Lega sia di fatto morta, ma evidentemente i politici del ciclismo sono di vedute più larghe: ritengono che abbia soltanto bisogno di un ricambio. Va bene, vediamo questo ricambio. Le varie componenti si riuniscono (sempre nell’ombra), si consultano, e alla fine patteggiano. Come sempre c’è attesa di conoscere almeno la lista dei volti nuovi chiamati a dare la scossa, ma come sempre c’è da mettersi a piangere: tutto come prima, tutte le stesse facce, tutti tranne uno, il vicepresidente Felice Gimondi.
È bellissimo: se uno più uno fa due, il pubblico è portato a concludere che l’unico responsabile del tracollo sia il grande campione di Sedrina. Per fortuna, i giochi saltano proprio quando sembra tutto deciso: il presidente uscente Vincenzo Scotti, che con Gimondi ha condiviso la buona e la cattiva sorte, ci sta solo se anche Felice viene confermato. Diciamolo: un gesto alto, assolutamente più alto dell’ambiente in cui matura. Difatti, dimostrando di non meritarlo, l’ambiente reagisce a modo suo: il presidente della Federazione, Giancarlo Ceruti, prende la palla al balzo e commissaria la Lega. Il che significa una cosa sola: il suo smisurato potere si allargherà ora anche alla Lega, ai cui vertici finiranno di sicuro uomini di sua fiducia (se qualcuno vuole, io scommetto). E il mite Gim? Se ha una colpa, è quella di subire troppo signorilmente. Anzichè denunciare pubblicamente di quale pasta siano i signori che lo circondano, contribuendo a chiarire molte cose sui fallimenti della Lega, prende atto di non essere più gradito e si fa da parte. Caro Gim, scusa se mi permetto: da uno che non s’è mai rassegnato neanche di fronte a Merckx, noi pretendevamo qualcosa di più. Comunque hai la nostra comprensione: davanti a certi metodi sovietici, è umano pensare subito alla resa. Per combattere ad armi pari bisognerebbe essere della stessa pasta...
In attesa di conoscere quale scoppiettante organigramma uscirà dal commissariamento (ma sì, facciamo un bel soviet), il ciclismo può comunque già parlare di un primo risultato acquisito: dopo Martini, ci siamo giocati anche Felice Gimondi. Guarda caso, i due nomi italiani che il mondo conosce e invidia. È o non è un capolavoro? Un patrimonio dilapidato in nome del rinnovamento. Adesso però questi del rinnovamento, dopo aver epurato tutti quelli che facevano ombra, dovranno anche cominciare a inventare qualcosa. Finora, a livello di nuove idee, s’è sentito soltanto un martellante e infantile progetto di creare il Bernie Ecclestone del ciclismo. Personalmente ho la sensazione che tutti quanti invidino al boss della Formula uno, più che le intuizioni, i conti in banca. Ma forse sono troppo disfattista. Per questo, seguendo a ruota Gimondi, mi faccio umilmente da parte. Caro Gim, lasciamoli lavorare: senza disfattisti fra i piedi, faranno cose gigantesche.
Cristiano Gatti, 41anni, bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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