FIRSANOV. L'uomo che ha imparato a scattare

PROFESSIONISTI | 17/04/2016 | 18:27
Si è arrampicato sulla Ruta danzando sulla bici come una stella del Bolscioi, ha trasformato il Giro dell’Appennino in quello degli Urali, ha ribattezzato il lungomare Cristoforo Colombo in viale Fedor Dostoevskij.

Sergei Firsanov ha 32 anni, viene da Vieliki Liuke, Russia, più vicino a San Pietroburgo che a Mosca, è uno scalatore e “può essere la sorpresa del Giro d’Italia”. Non ha paura, a sostenerlo, Michele Devoti, 43 anni, spezzino di Ortonovo, allo stesso tempo il suo direttore sportivo e il suo preparatore atletico. Che rivela: “Ha un alto massimo consumo di ossigeno e un rapporto peso/potenza vicinissimo a quello dei grandi”. Che spiega: “Il suo cuore ha 38-40 battiti al minuto a riposo, e 172 alla soglia”. Che conclude: “Ha un grande motore, che esprime 6 watt per chilo”.

L’edizione numero 77 della classica italiana più dura - cambiando percorso e salite, la durezza non cambia - è stata illuminata dall’assolo di Firsanov: ha allungato sul Colle Caprile, ha attaccato sulla Ruta, è decollato a Zoagli, si è involato sulle Grazie, ha stravinto a Chiavari. “Stamattina - ha confidato - nella riunione prima della corsa si è deciso che ci fosse un solo capitano di giornata. Io. Così tutti i compagni si sono messi a mia disposizione e hanno lavorato per me”. Soprattutto in discesa, il punto debole dello scalatore russo. “Finché, negli ultimi 20 km, ho fatto da solo quello che dovevo fare”. Correre per vincere.

Sposato con Olga, senza figli, casa a Sarnico (Lago d’Iseo) e base a Lonato (Lago e di Garda), un tipo descritto come tranquillo finché non sale sulla bicicletta, meglio se in salita, Firsanov aveva vinto una tappa e la generale alla Settimana internazionale Coppi e Bartali. “Da allora a oggi, due settimane di preparazione sull’Etna. Da oggi al Giro d’Italia, Giro del Trentino e poi si vedrà, forse ancora montagna”. La chiave della nuova strategia di allenamento sta nell’interval training: razioni quotidiane del cosiddetto “40-20”, cioè 40” a gas e 20” di riposo, per 10 volte, per quattro serie, e l’ideale sarebbe farlo su una salita al 6-7 per cento, proprio come quella individuata sull’Etna.

Il primo a congratularsi con Firsanov è stato Ernesto Colnago, che gli perfeziona la bicicletta. Il secondo è stata Erica Lombardi, la sua dietologa, che spreme frutta e centrifuga cereali personalizzando l’alimentazione in base non solo ai corridori ma anche ai giorni e ai percorsi di lavoro. Il terzo è stato lo stesso Devoti. C’è molta Italia nella russa Gazprom. E c’è molta eco italiana in queste vittorie: un giornalista russo segue le corse, e le imprese, dei corridori connazionali e poi trasmette, moltiplica, immortala.

E a chi gli ha chiesto come mai questa seconda giovinezza, Firsanov ha risposto: “Fino allo scorso anno attaccavo, ma non erano attacchi decisivi, definitivi, finali. Ma abbiamo cambiato tutto, e i risultati si vedono”. Ma più di tanto, neanche Firsanov riesce a vedere. “Non ho mai corso un grande giro, non so come posso gestire tre settimane di sforzi e di pressioni. Vorrei vincere una tappa. E, strada facendo, provare a fare classifica”. Nei primi 10? Nei primi cinque? Firsanov non è il tipo che si sbilanci: “Spero di fare bene”.

Ma a sbilanciarsi sono gli altri. Francesco Gavazzi, secondo: “Sulla Ruta Firsanov è partito forte, e nessuno ha avuto le gambe per seguirlo. Noi pensavamo che, collaborando, potessimo riprenderlo. Invece la collaborazione non c’è stata - tutti aspettavano che a inseguire fossimo noi Androni -, e lui è andato forte. Nonostante i chilometri, il vento, il freddo, la pioggia e le cadute”. Mauro Finetto: terzo: “Firsanov è partito proprio sotto i miei occhi e davanti alle mie gambe. Mancavano ancora 25 chilometri. Tanti, ho pensato. Tanti per noi, ma non per lui. Ed è stata una corsa bellissima, nella sua durezza, nella sua difficoltà, anche nei suoi rischi, così che le discese erano più impegnative delle salite, il che è tutto dire”.

Tutto si può dire. Ma Firsanov, oggi, magro come l’osso di un prosciutto di montagna, fra la gente che non sapeva come chiamarlo perché ne ignorava nome e cognome, sporco di fango e strada, aveva il profilo di un certo Coppi, corridore del Novecento.

Marco Pastonesi
 


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COMMENTI
il Giro dell'Appennino a Chiavari
17 aprile 2016 19:38 canepari
è una vera sorpresa, e il vincitore entra tra i grandi della storia. Guardate l'albo d'oro di questa corsa... Bravo Sergio, forse sei già un po' troppo maturo per essere una rivelazione..... ma sei un bel corridore.

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