STORIA | 24/11/2015 | 07:56 KIGALI (RUANDA) E’ il primo del Tour of Rwanda, ma a cominciare dal basso. Infatti si è rivelato il più affezionato alla corsa, perché sui 928,4 chilometri di strada ha pedalato precisamente 2 ore, 51 minuti e 30 secondi più del ruandese Jean-Bosco Nsengimana, primo anche lui, ma a cominciare dall’alto. Ed è stato – in fondo - il più stacanovista e il più resistente, ma anche, e soprattutto in salita, il più prudente e il più lento. E di gran lunga: sul suo più diretto avversario, il compagno di squadra svizzero Sandro Muhl, alla fine poteva vantare un distacco incolmabile di 12 minuti e 19 secondi.
Manuel Stocker, 24 anni, svizzero tedesco di Boswil, vicino a Zurigo, dorsale 94, è la maglia nera (anche se la sua Meubles Descartes adotta quella gialla) del Tour of Rwanda: 47° (ma i partiti erano 69). Papà impiegato in un’azienda di logistica, mamma dipendente statale, un fratello più giovane, Manuel aveva provato un po’ tutti gli sport (“Calcio, sci, atletica, judo…”), finché ha incontrato la bici (“A 18 anni: tardi”). Un amore a prima, ma non primissima vista (“Perché la mia primissima bici risaliva all’infanzia, ed era un triciclo”). E’ andata così: “Mi sono presentato in un club, ho detto ‘sono qui’, mi hanno affittato una Cannondale per due settimane, e dopo le due settimane l’ho comprata”. La prima corsa? “Nella Svizzera italiana, a Mendrisio, nel 2009. Non l’ho finita. Mi sono sorpreso: gli altri erano troppo veloci”. La prima corsa finita? “Quella successiva, nella Svizzera francese. Mi sono sorpreso: ero veloce anch’io”. E la prima vittoria? “A Payerne. Un criterium, su un circuito difficile, pieno di curve. Pioveva. Sono arrivato solo”. Quel giorno Manuel ha intuito che, per vincere, avrebbe dovuto contare su mille difficoltà. Infatti? “Gareggio per una squadra Continental, la Differdange-Losch, lussemburghese. Quattro vittorie, tre in Svizzera e una in Burkina Faso, ma tutte allo stesso modo, fra mille difficoltà, e da solo”.
Al Tour of Rwanda, non per campare scuse, ma per dire la verità, Manuel non si è presentato in perfetta forma: “Sono uscito dal Tour du Faso con un primo e un secondo posto, ma anche con la febbre e la dissenteria. Poi, per venire da Ouagadougou a Kigali sono dovuto rimbalzare per Istanbul. E al cronoprologo non stavo in bici. Ma ho stretto i denti, e non solo quelli”. Uno e 85 per 73, 42 battiti a riposo, 46 di scarpe, 56 di telaio con 8,2 fuori sella: un bell’atleta. “Facevo gruppetto. Nessuno ha insidiato il mio ultimo posto. Anzi, c’è stata lotta per guadagnare anche qualche lontana remota posizione in classifica. La penultima tappa, nell’ultima discesa, sotto il diluvio, in fondo eravamo rimasti io, Sandro e l’olandese Peter Woestenberg, rispettivamente ultimo, penultimo e terzultimo in classifica. Sandro ha attaccato, io mi sono messo alla sua ruota, Peter si è staccato e ha dovuto impegnarsi alla morte per inseguirci. Quando ci ha ripresi, ci ha chiesto se eravamo impazziti. Gli ho detto che io non c’entravo, e che si rivolgesse direttamente a Sandro”.
Francamente, Manuel non pensava di fare tanta fatica: “Anche se mi avevano detto che era il Paese delle mille montagne”. Veramente sarebbe il Paese delle mille colline. “Per me erano montagne. Siamo sempre stati fra i 1500 e i 2500 metri di altitudine”. E adesso? “Due settimane di riposo, me le merito. Poi ricomincio la preparazione, vado anche a Maiorca per stare, se non al caldo, almeno al tiepido, in gennaio mi aspetta il Venezuela”. Gli amici gli dicono che è pazzo, ma anche fortunato: “Tutto vero, sono pazzo e fortunato. E soprattutto sono orgoglioso di quello che faccio”.
E’ la prima volta che Stocker arriva ultimo: “Nessun problema. Bisogna provare tutto nella vita. La bicicletta è la mia vita. E il ciclismo è passione e divertimento. Più o meno quello che mi succede con le donne”.
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