Di anno in anno si affievolisce e si allontana sempre più, purtroppo, vien da dire, il ricordo della Sei Giorni. Quest’affascinante manifestazione che ha accompagnato la crescita del ciclismo già dalla fine del 1800 evoca sempre un grande richiamo, purtroppo solamente nostalgico, presso gli appassionati di questo mondo delle due ruote con le sue grandi e piccole storie, le sue specificità, i suoi grandi specialisti delle varie epoche, di là e al di qua dell’Oceano.
Le Sei Giorni, con il tempo, soprattutto negli ultimi decenni, hanno subito un vero e proprio tracollo numerico tanto che le manifestazioni superstiti si possono ora contare sulle dita di una mano. Una ventina d’anni fa erano circa venti quelle in calendario, soprattutto nei tondini al coperto di Belgio, Germania e altri stati nordici. Di rilievo, in questo panorama, seppure con discontinuità soprattutto per motivi diciamo, logistici (mancanza di un adeguato impianto con pista al coperto dopo il crollo del Palazzo dello Sport di San Siro nel gennaio del 1985) era anche la Sei Giorni di Milano. Pure questa, però, da una quindicina d’anni, non si disputa più, soprattutto per il profondo rosso che registrava in sede di bilancio contabile. C’è stato sì il lodevole tentativo dell’Eicma di riproporre un modello “light” di Sei Giorni a Milano-Rho, in occasione dell’Esposizione del Ciclo, nella seconda metà degli anni 2010, ma l’esito non è stato favorevole.
Gli appassionati, in materia, devono quindi consolarsi con i ricordi e, quasi in una dimensione onirica, sognare, vagheggiare, auspicare un ritorno di fiamma deciso, un ritrovato interesse, per le Sei Giorni, una formula che nella strutturazione attuale non incontra più i favori del pubblico.
Agli appassionati, che vivono ancora, quasi nella dimensione del sogno, l’ideale della Sei Giorni, non rimane altro che volgersi al passato per ritrovare le magiche atmosfere, le imprese fra sport e spettacolo che da sempre hanno caratterizzato la specialità con le sue liturgie pagane, i particolari codici di comportamento non scritti ma che dovevano essere da tutti rispettati e condivisi, pena l’esclusione dal grande circo. Si proponeva un evento – come si dice oggi – dove lo sport, il gesto e le capacità atletici, si accompagnavano e necessitavano di buone doti di rappresentazione e spettacolo.
E’ in questo quadro che Manuel Gandin, caporedattore di Famiglia Cristiana, propone il volumetto, di dimensioni tascabili, “La Sei Giorni, tra giri di pista e di giri di poker”, edito da No Replay nella collana “Sportivamente”. In 120 pagine (costo 12 euro) riassume fatti e personaggi che hanno scandito i cento e più anni di vita delle Sei Giorni e di alcuni degli straordinari interpreti di varie epoche.
Nella presentazione alla Libreria dello Sport di Via Carducci 9 a Milano, l’autore ha ricordato la sua passione per il ciclismo su pista nata quando, giovanissimo, il papà lo portava al Velodromo Olimpico di Roma (oramai scomparso) in occasione delle Olimpiadi del 1960. Altri tempi, altri campioni. E’ stata pure l’occasione per il direttore Pier Augusto Stagi che interloquiva con l’autore di ricordare, invero sommessamente, i suoi trascorsi di corridore con la maglia gialla della gloriosa Bruzzanese-Brill, alternando la strada alla pista, ricordando sue esperienze di pura partecipazione, di tipo sicuramente “decoubertiniano”, alle riunioni del Palasport di San Siro. Esperienze e risultati che, per sua stessa ammissione, l’hanno rapidamente determinato a ricercare la sua strada nel giornalismo.
La prefazione, come sempre godibilissima, è di Gian Paolo Ormezzano.
g.f.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.