tuttoBICI. Speziali (Kia): la ricetta è puntare sui giovani

| 10/01/2011 | 08:55
Quattro ruote per vivere, due per stare bene. Una moglie, due figli, un pallone lasciato nel cesto, una racchetta da tennis finita in cantina. Uno zio che ha corso in bicicletta, un Felice Gimondi in cima a tutto e quattro amici al bar che gli hanno cambiato la vita.
Giorgio Speziali è il direttore commerciale di KIA Italia, un uomo che passa le sue giornate a guardare numeri e a fare programmi. Insegue obiettivi e rincorre target ma si affida alla passione per le due ruote per smaltire lo stress dell'auto. Da tre anni è stato colpito dalla passione per il ciclismo e da allora è vicino al team Lampre di Beppe Saronni come sponsor tecnico. È un osservatore esterno e qualificato, che si è avvicinato al nostro sport con passione e curiosità ed è a lui che questo mese diamo la parola per sapere come valuta il mondo della bicicletta, come lo considera e lo trova. L'abbiamo raggiunto nei suoi uffici di viale Certosa a Milano, dove dirige uno dei marchi più prestigiosi del mondo dell'auto e dove, anche in ufficio, non può mancare una bicicletta, con la quale percorrere non meno di 6 mila chilometri all'anno.
 
Come nasce la passione per il ciclismo?
«In principio era solo il calcio a riempire le mie giornate. Da ragazzino era lo sport di riferimento, poi è diventata l¹attività ludica per scaricare le tossine di un¹attività lavorativa sempre molto logorante dal punto di vista nervoso. Gioco, gioco tanto e mi logoro. Rottura dei legamenti del ginocchio destro. Mi do al tennis. Gioco, gioco tanto, mi rirompo i legamenti dello stesso ginocchio. Sono dolori in tutti i sensi. Il medico mi dice: per la rieducazione c'è solo il nuoto o la bicicletta. Con tutto il rispetto possibile per chi passa le giornate in un acquario io scelgo la libertà della bicicletta. Vengo accolto da “i do' roeud²“, le due ruote, una piccola società di amici di Paola, mia moglie. Mi mettono alla prova, e con entusiasmo entro a far parte della grande famiglia. Obiettivo indissolubile: divertirsi. Tutto ruota attorno all¹amicizia, alla voglia di condividere il piacere di andare in giro in bicicletta tra amici. La gara, la competizione non è affar nostro».
 
Chi sono “i do' roeud“?
«La passione per il ciclismo nasce dai campetti di calcio. Ci si trovava tutte le domeniche per giocare, poi i lividi diventano botte, le botte fratture e la saggezza ci induce a modificare le nostre abitudini. La scintilla scocca grazie a Bugno e Chiappucci. C'era chi impazziva per Gianni e chi per Claudio. È tra queste due fazioni che discutono su chi dei due è il più forte, che nasce il 5 dicembre 1989 - da un gruppo (quattro) di amici di Sesto San Giovanni ­ una società che al suo primo anno di attività vanta una dozzina di iscritti e oggi ne conta oltre quaranta. Presidente Luca Barbieri, vice Giuseppe Borgonovo, segretario Daniele Curti, consiglieri Alfredo Crippa, Claudio Fontana, Mauro Trinx, Giovanni Farina. Il nostro campione sociale è Ivan Zanetti, che quest'anno ha preceduto Luca Barbieri e il sottoscritto. Siamo un bel gruppo: si parte tutti assieme e assieme si torna. Chi trascina, motiva, mangia, fa caciara: siamo dei veri ciclomerendoni».
 
Come arriva nel mondo dell'auto?
«Il mio curriculum è presto detto. Nasco a Monza il 22 giugno del 1961. Oggi vivo a Sestro San Giovanni con Paola e i nostri figli: Martina di 16 anni e Andrea di 9 (gioca a tennis, ma ha già manifestato il desiderio si darsi al ciclismo). Entro nel mondo dell'auto a 23 anni, dopo aver lasciato a metà la facoltà di economia e commercio perché nel frattempo il lavoro mi prende anima e corpo. Dopo aver ricoperto le carche di direttore vendite di Chrysler e Mitsubishi dal 2000 sono direttore commerciale di Kia Italia».
 
Dalle quattro torniamo alle due ruote: come intercetta Beppe Saronni?
«Prima intercetto Gigi Malvestiti, che rappresenta una delle maggiori realtà tra i concessionari d'Italia. Lo conosco per questioni di auto, ma lui è un ex buon corridore dilettante, che nutre ancora una grandissima passione per le due ruote. Tra noi due scocca immediatamente la scintilla: si parla la stessa lingua. Una pedalata dopo l'altra, e se si è appena appena allenati una parola tira l¹altra. Così comincia a portarmi nel mondo delle due ruote. Il mio mito è Felice Gimondi, ma anche Saronni e Bugno sono due corridori che io ho apprezzato tantissimo. Finisce che Gigi mi fa conoscere sia Beppe che Gianni, e da queste frequentazioni, tre anni fa, nasce la collaborazione con il team diretto da Saronni».
 
Che idea si è fatto del ciclismo?
«È uno sport bellissimo, che unisce l'operaio al dirigente, l'insegnante all'industriale: è uno sport trasversale. È bello andare in bicicletta, praticarlo, ma è altrettanto bello seguirlo davanti alla tivù. Ma è impagabile seguirlo dal vivo, sulle strade, soprattutto se sono quelle nobili di Giro e Tour. Ecco, lì ho scoperto un mondo incredibile, fatto di appassionati veri, che condividono il piacere dello stare assieme, del conoscere posti nuovi, che apprezzano le bellezze della natura e si riconoscono non solo in un corridore, ma nel ciclismo. È uno sport che non divide in fazioni, anche se il ciclismo ha avuto le sue belle rivalità, ma ad ogni modo l'appassionato di ciclismo ha un profondo rispetto per tutti i suoi officianti, perché quasi tutti gli appassionati di ciclismo conoscono la fatica e quindi rispettano tutti».
 
Se dovesse usare un aggettivo, quale userebbe per definire il ciclismo?
«Maltrattato. È uno sport senza anticorpi, privo di difese, aggredito continuamente dall'interno (dai corridori) e dall'esterno (media). Il ciclismo ha tantissime colpe, ma è ormai altrettanto chiaro che non è l'unico sport malato. Viviamo in una società che fa abuso di farmaci. Ci inducono a prendere l¹aspirina al primo abbassamento di voce, e poi ci si scandalizza se un atleta ricorrere al doping per fare meno fatica. Sia ben chiaro: sono contro il doping. Ma io non trovo giusto che ci siano sportivi di serie A B e C».
 
Nel ciclismo intanto continuano a prendere atleti di serie A. L'ultimo in ordine di tempo è Alberto Contador...
«E questo per il ciclismo deve essere un motivo di vanto. Nel ciclismo si fa sul serio la lotta al doping. Quando si cerca si trova. Quando non si fa niente non si trova niente. Ho letto il suo editoriale di novembre e condivido la sua provocazione: provino i corridori a sospendere per un breve periodo la loro disponibilità ad eseguire tutti gli esami che fanno. Si limitino a fare gli esami delle urine, e vedrete che di casi sospetti non ce ne saranno più. Non perché il ciclismo ­ al pari degli altri sport improvvisamente diventa pulito, ma perché meno si cerca, meno si trova».
 
Cosa non le piace del ciclismo?
«L'approssimazione. Io lavoro per una multinazionale coreana, prima di decidere qualcosa si programma, si discute, tutto deve essere messo nero su bianco e le scelte strategiche devono dare stabilità a tutto il gruppo, per almeno un triennio. Nel ciclismo non c'è nulla di certo, tutto è precario, ogni anno si cambiano i regolamenti. Io sono l'ultimo arrivato, frequento per strategie del gruppo calcio e tennis (la KIA è stato sponsor dei mondiali di calcio ed è stato sponsor in passato di atleti del calibro di Agassi e di Nadal oggi), e l'approccio è ben diverso».
 
Quindi...
«Quindi spero che si arrivi a più miti consigli. Non giova a nessuno stare sempre sul piede di guerra. Il Pro Tour mi sembra un progetto più che condivisibile, per non dire necessario, ma è applicato molto male. Io da osservatore esterno non ho ancora capito chi può correre che cosa. E soprattutto se il ciclismo di oggi è da considerare ancora uno sport individuale o di squadra. Per non parlare poi dell¹ultima scoperta del ranking Uci. Dopo il Lombardia la Saxo Bank di Bjarne Riis era campione del mondo, la Liquigas battuta per soli 4 punti. Poi ai primi di novembre il rimescolamento delle carte dopo i trasferimenti di prammatica: al primo posto il team Luxembourg, la Liquigas nona, io che appoggio la Lampre dovrei essere contento perché il team di Saronni è risalito in sesta posizione ma è innegabile che c'è qualcosa che non va».
 
Insomma, il ciclismo sport autolesionista...
«Chi pratica il ciclismo, dal più bravo al più brocco, un po' ama soffrire. Siamo un po' tutti autolesionisti perché ce le andiamo a cercare, ma a tutto c'è un limite. Il piacere della sofferenza è davvero un piacere. Ma quando diventa una tortura non va più bene. E per me il ciclismo è uno sport torturato».
 
Crede nel ciclismo come mezzo di comunicazione?
«Moltissimo. Ha un grande impatto sulla gente, e i costi di sponsorizzazione sono molto più accessibili di altri sport. Spesso si fanno grandi ricerche per centrare i giusti target e molti studi di marketing faticano a vedere quello che hanno sotto il naso».
 
Obiettivi per il futuro?
«Sono in fase di definizione, ma non vi nascondo che nel cassetto ci sono diversi progetti. Certo, il momento economico è quello che è e certe valutazioni meritano riflessioni importanti. Diciamo che il ciclismo per noi potrebbe essere un bel progetto tutto da sviluppare».
 
Cosa manca al ciclismo?
«Progettualità e coraggio. A dire il vero mancano anche spazi protetti. Io abito alle porte di Milano: è mai possibile che una città come la nostra non abbia un velodromo al coperto? È mai possibile che la Federazione abbia spinto il Comune ed enti privati a spendere altri quattrini per la risistemazione del Vigorelli e poi una volta sistemato nessuno crea un calendario per poter portare dei ragazzini in pista. Mi dicono: è troppo lunga ed è all'aperto. Ma se moltissime società vanno al parco nord a correre o alla pista di Dalmine, perché mai non dovrebbero andare in un monumento storico come il Vigorelli? Io ad esempio, con la mia piccola società, ci andrei. Pagherei anche una piccola quota di accesso, come viene pagata per andare al parco nord».
 
Se le dico Giro d¹Italia?
«È il fiore all'occhiello del ciclismo italiano e mondiale. Ma il ciclismo non è solo Giro d'Italia e non può e non deve essere solo Giro d'Italia. A maggio sembra che tutto ruoti attorno alla corsa rosa, poi i riflettori si spengono, e sul nostro sport cala il buio».
 
Mi sembra una visione un po' severa...
«Diciamo realista. Ad ogni modo io sono abituato a pensare positivo, e anche per il ciclismo vedo rosa. Bisogna però scommettere sui giovani, come sta facendo giustamente la Lampre. Beppe Saronni e la famiglia Galbusera stanno investendo molto su ragazzi di talento e avvenire: questa è l'unica strada per dare un grande futuro al nostro sport».

da tuttoBICI di dicembre a firma di Pier Augusto Stagi
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