tuttoBICI. Windop, un programma per rinascere

| 09/01/2011 | 17:58
Il doping uccide, ma anche le sanzioni non scherzano assolutamente. Doveroso combattere i bari, smascherarli, rendere lo sport più credibile, ma ugualmente importante è domandarsi dove vanno a finire gli atleti squalificati? E soprattutto, quale futuro possono avere?
 
ADDIO PETTIGREW. Antonio Pettigrew è stato trovato privo di vita sul sedile posteriore della sua auto chiusa a chiave il 10 agosto scorso: intorno al corpo, confezioni di sonniferi. Il campione del mondo dei 400 a Tokyo 1991 aveva 42 anni. Da quattro stagioni era vice allenatore della squadra di atletica della North Carolina University, con la responsabilità di velocità e ostacoli. Pettigrew, nel maggio 2008, deponendo nell'ambito del caso Balco al processo contro Trevor Graham, suo ex coach, ammise che dal 1997 al 2001 fece largo uso di sostanze illecite. Tanto è vero che le tante medaglie conquistate in quell'intervallo di tempo con la 4x400 degli Stati Uniti, sono poi state tutte cancellate: dall'oro olimpico di Sydney 2000, a quelli dei Mondiali di Atene 1997, Siviglia 1999 ed Edmonton 2001.
 
ADDIO NEWTON. Terry Newton si è suicidato il 26 settembre. Nazionale inglese di rugby, lo scorso mese di febbraio è stato fermato per due anni dopo essere risultato positivo al test per l'ormone umano della crescita. È stato trovato impiccato nella sua casa sette mesi dopo.
 
PSICOLOGIA DEL DOPING. Il doping uccide, ma le sanzioni non sono da meno. È da questo semplice assioma che il professor Mattia Piffarenti (nella foto), psicologo dello sport, che sta coordinando con l'Università di Losanna e con l'aiuto dell'agenzia mondiale del doping (Wada) questo progetto pilota, si preoccupa appunto di capire i meccanismi che spingono a fare uso di sostanze illecite ed evitare le ricadute.
 
«Fino ad oggi è stato privilegiato l'aspetto repressivo della lotta al doping: stanare scoprire punire. E dopo? si chiede Mattia Piffaretti, 42 anne svizzero, psicologo sportivo -. Nella società civile, infatti, quando un criminale viene arrestato ha comunque la possibilità di acquisire nuove competenze ­ soprattutto professionali ­ tali da favorire il suo reinserimento e diminuire il rischio di recidiva. In collaborazione con l'Università di Losanna ­ nel quadro delle borse di ricerca in scienze sociali ­ abbiamo quindi deciso di lanciare un programma (Windop), sostenuto finanziariamente dall'Agenzia mondiale contro il doping (Wada)».
 
PANTANI INSEGNA. Dieci atleti ­ attivi in discipline diverse, provenienti dalla Svizzera e dai paesi limitrofi ­ hanno dato la loro disponibilità per partecipare al progetto pilota, della durata di un anno. «Per ridurre il rischio di recidiva, è necessario fornire agli atleti coinvolti i mezzi per ricostruirsi un futuro come sportivi ma soprattutto come uomini - spiega Mattia Piffaretti -. La sanzione rappresenta infatti un trauma profondo, che va seguito, accompagnato, aiutato. La tragica morte di Marco Pantani è un caso doloroso che non può essere dimenticato. Il nostro progetto è in favore di queste vite che non possono essere spezzate. Lo sport non si può permettere certe cose. Lo sport deve elevare l'uomo e anche l'antidoping deve avere più sensibilità. Ma se è vero che il doping va combattuto con fermezza, con altrettanta decisione bisogna lanciare un grido di allarme: nella lotta anti-doping si tende troppo ad etichettare lo sportivo colpevole, senza prendere in considerazione le circostanze della sua colpa, il suo vissuto ed il suo contesto personale. Questo porta inevitabilmente alla marginalizzazione ed a forme di depressione molto gravi», chiosa Piffaretti.
 
PROGRAMMA WINDOP. Il programma Windop prevede anche un aspetto preventivo. «La testimonianza dei partecipanti permetterà ai giovani sportivi di capire cosa significa subire una sanzione e di rendersi conto che ciò può distruggere una carriera», aggiunge Piffaretti.
 
L'ESPERIENZA DA ROS. Parecchie federazioni internazionali ­ tra cui l'Unione ciclistica internazionale (UCI) ­ collaborano già alla realizzazione dello studio pilota. Tra i dieci volontari, anche un italiano, Gianni Da Ros, 24 anni, inizialmente squalificato per 20 mesi per uso e spaccio di prodotti dopanti poi al Tas, pena ridotta a 4 anni. «Ad agosto ho ricevuto una mail ­ ci racconta il veneto -: mi chiedevano se sarei stato disposto a partecipare a questo progetto pilota. Non ci ho pensato su due volte».
Oggi a Gianni mancano otto esami per la laurea in ingegneria chimica, e per far fronte alle spese si paga gli studi facendo il cameriere in un bar di Padova.
«Ho attraversato momenti difficilissimi, mi sentivo devastato dalla vergogna e dal dolore, poi sono ripartito dai miei errori. Per la mia vicenda di doping (uso e spaccio) ­ ricorda Da Ros - sono stato anche tre notti in carcere, ma oggi anche questa la considero un¹esperienza positiva. Molto peggio uscire di casa ed essere guardati male. Essere giudicato come un poco di buono. Difatti c'era ben poco di buono dentro di me. Punito per manifesta superficialità. Cosa ho capito? Che la vita non è un gioco. Oggi grazie anche al professor Piffaretti e al suo staff, penso di essere avviato a diventare un uomo migliore: almeno lo spero. All'inizio della mia brutta storia faticavo ad uscire di casa, ero in perenne disagio. Ora sto molto meglio, anche se il percorso è appena all'inizio».
Gli chiediamo: tra due anni e mezzo, hai intenzione di tornare a correre in bicicletta?
«Ho corso per 16 anni, la bicicletta è la mia vita e quasi tutti i giorni esco a fare un giro. Una cosa è certa: se torno so già adesso che sarò un corridore migliore. Se deciderò di piantarla lì, spero diventato per lo meno un uomo migliore».

da tuttoBICI di dicembre a firma di Pier Augusto Stagi
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