L'ORA DEL PASTO. ALESSIO GASPARINI E LE EMOZIONI DI UN RWANDA TUTTO DA SCOPRIRE. GALLERY

INTERVISTA | 04/03/2025 | 16:51
di Marco Pastonesi

Beati i penultimi. Sessantatreesimo dei 64 arrivati (e dei 69 partiti nella prima tappa), Alessio Gasparini – 26 anni, veronese che corre per una squadra ruandese, la May Stars - è orgoglioso del suo primo Tour of Rwanda: “Bronchite asmatica. Altri avrebbero abbandonato, io ho tenuto duro fino alla fine”.


Ma le corse non sono soltanto ordini di arrivo, classifiche generali o a punti, traguardi volanti o gran premi della montagna. Le corse sono sensazioni ed emozioni, episodi ed esperienze, racconti e già ricordi. A cominciare dalla bronchite asmatica: “Ne soffro fin da bambino. Qui mi è esplosa perché in macchina o sui pulmini si viaggia sempre con i finestrini aperti. E mi è esplosa. In corsa non riuscivo a respirare profondamente. Come andare in terza invece che in quinta”. Così “mi sono messo a disposizione della squadra, l’ordine era rimanere in gruppo, anche se la prima tappa avrei avuto un’occasione quando ero alla ruota di chi è scattato ed è andato in fuga”. La tappa più dura “la sesta, mai un solo km di tranquillità, vento laterale, fila indiana, non si staccava nessuno, il livello era alto”. La tappa più bella “quando abbiamo costeggiato il Lago Kiwu, panorami meravigliosi, paesaggi fantastici, per quel poco che si può vedere in corsa quando si mena a testa bassa”. La tappa più attesa “quella finale di Kigali sul percorso dei Mondiali di quest’anno, strappi e pavé, ma sotto la pioggia, dopo una ecatombe (una trentina i corridori caduti), fra le polemiche, le modifiche e infine la neutralizzazione – la gara si poteva concludere regolarmente -, abbiamo corso per niente”.


Gasparini è rimasto incantato dalla gente: “Tantissima, direi tutti i ruandesi ai bordi della strada, festanti, scatenati, entusiasti, esultanti, danzanti, alla partenza, all’arrivo, lungo il percorso, soprattutto i bambini che evadevano dalle scuole e si precipitavano al nostro passaggio”. Impossibile dimenticare “i trasferimenti, per fare 60 km ci vuole un’ora e mezza di sbalzi, sobbalzi e sballottamenti”, impossibile dimenticare “il frigorifero della nostra ammiraglia quasi immediatamente vuoto, poi ci passavano borracce di acqua a temperatura ambiente, cioè calda”, impossibile dimenticare “i su-e-giù ruandesi sono - minimo - tre km di salita e tre di discesa, magari già a una quota di 2600 metri, alla fine risultavano dislivelli da tapponi dolomitici”.

Alessio è ancora in Ruanda: “A Kigali, davanti allo stadio di calcio Amahoro, nella ‘casa’ della nostra squadra, camere singole, niente cucina ma ristorante. Il tempo di recuperare, poi il 12 l’aereo per l’Italia, il 16 la Popolarissima a Treviso, quindi tre corse in Slovenia, infine Marocco e Giappone”. Beato, non sempre – si spera - da penultimo.


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