Con Ernesto Colnago è un continuo viaggio, nel passato e nel futuro. A novantadue anni suonati (il 9 febbraio saranno 93!) è un vero condensato di progettualità. Ha sempre qualcosa da fare, anche adesso che ha lasciato la sua Colnago in buone mani (Nicola Rosin, ndr) e lui, “Il Maestro” si concede e gode la più che meritata quiescenza attiva, molto attiva. «Mi raccomando, da me alle 17.15», inutile dirgli che forse è un po’ prestino, che la festa dei fratelli Carera ad Erbusco inizia alle 20. Lui non sta nella pelle: lo aspetta il suo pupillo, Tadej Pogacar. «Eh, ciula (interiezione lombarda, molto milanese), non posso mica arrivare in ritardo, poi lui ha tante cose da fare…», mi dice.
Si parte con calma e con calma arriviamo al “QI Clubbing” di Erbusco con un paio di ore di anticipo. «Meglio così, abbiamo evitato il traffico e possiamo raccontarcela un po’ in grazia di Dio».
Ernesto è uno scrigno di ricordi e di curiosità. Chiede, domanda e vuole sapere dei ragazzi che animano oggi il ciclismo. «Oggi corrono molto bene: è davvero una generazione bellissima. Un ciclismo che conquista i cuori. C’è chi storce il naso e ha da ridire? Non conosce il ciclismo, non sa riconoscere un diamante da una pietra di fiume».
Siamo fermi, in macchina, tranquilli come pochi, ma l’Ernesto viaggia con la memoria. «Con Eddy ne parlo spesso, Taddeo è eccezionale, fa cose che non ha fatto nessuno. Ha una classe e una leggerezza inusuale: ma hanno gli occhi per vedere?», esclama con passione.
Ha portato sei magliette da far autografare a Taddeo: «Sono per dei miei grandi amici, tutti imprenditori di primordine», in verità ha anche un bellissimo quadro di 2 metri da fargli autografare: è per il museo.
Cominciano ad arrivare i primi ospiti, il parcheggio lentementa si riempie. Ci salutano Rino e Ronny Baron, padre e figlio con il ciclismo nel sangue: uno grande massaggiatore di Argentin e Padova Calcio, l’altro meccanico di punta della Uae Emirates. Vedere l’Ernesto lì è per loro motivo di sorpresa e gioia, si stropicciano gli occhi. Sogno o son desto? Lo accolgono come si accoglie un re.
È il momento giusto: sono solo le 19, ma si entra. La pista è già pronta, le luci anche, Luca Gregorio e Justin Mattera fanno le prove, la musica è già a palla. Mi volto, Ernesto è già lì che fa selfie e autografi: non balla, ma è uno sballo. Sembra Tony Manero nella Febbre del Sabato sera, anche se è venerdì. Passano i minuti e la sala si riempie e in un amen: Ernesto è l’ospite d’onore.
C’è il gotha del ciclismo e dell’imprenditoria della bicicletta e lui, il Maestro, si trova in un gorgo di mani e flash che lo circondano di affetto. Ogni tanto mi chiama: «occhio al quadro e alle magliette…», questa è la sua primaria preoccupazione, seconda solo a «quando arriva Taddej?...».
Taddeo arriva, attorno alle 19.30, va nell’area riservata ai giornalisti e alle televisioni. Uno spazio privée dove poter parlare con più tranquillità con il numero uno al mondo. Ernesto e Tadej si abbracciano, si sussurrano qualcosa, il frastuono è pazzesco: fino a prova contraria siamo pur sempre in una discoteca. «Mi ha detto che gli dispiace non poter scambiare due parole in tranquillità, ma io sono contento di averlo salutato e visto bene. Ha firmato tutto, anche il quadro»: il maestro è soddisfatto e lo dice anche a Urška Žigar, la fidanzata, che parla un po’ di italiano. «È una ragazza bravissima, si vede che si vogliono bene, sono una bellissima coppia. Il successo di un atleta è dato dall’equilibrio che si viene a instaurare in casa, nell’intimità. E loro sono perfetti, perché condividono la stessa passione: sono atleti, sono corridori. Anch’io con la mia Vincenzina mi capivo sempre al volo, non c’era da fare tanti discorsi», mi spiega.
La musica si alza ancora, la discoteca è ormai una bolgia dantesca, dove scorre prosecco e champagne. «Hai assaggiato il prosciutto? Eh, ciula, è buonissimo…». Ernesto è a suo agio, ci manca solo che si metta a ballare e mi ha sotterrato. Non mostra segni di cedimento, parla con tutti. Si palesa il presidente della federazione ciclistica slovena: “Sono Pavel Marđonović, ma quel signore è Ernesto Colnago? Si? Ma è un mito. Posso fare una foto con lui?». Gli riferisco tutto. Ernesto ride: «Il mito ce l’avete voi, non sono io…», e si lascia andare alla foto. Lui si muove divertito. «È meglio districarsi tra tanta gente, così sembro più giovane. Mi muovo a piccoli passi come tutti e non si nota che ho una certa età e a piccoli passi mi muovo sempre», mi dice divertito non prima d’avermi redarguito per avergli porto il braccio: «Mica sono cieco!…».
Sono le 21.40. È l’ora di andare, dopo una lunga processione di saluti. Da Claudio Marra a Paolo Calabresi, da Paolo Guerciotti ai “Colnago” Mauro Mondonico a Manolo Bertocchi, per arrivare a Linus, Paolo Oldani di Mediolanum ed Emanuele Della Pasqua, marito di Veronica Squinzi (la signora Mapei) e grande appassionato di ciclismo nonché “colnaghista” incallito (con lui anche i dirigenti Marco Ceraico, Gianluca Ostini e Giuseppe Piana Caramella, tutti pedalatori incalliti, con una grande passione: Tadej Pogacar). Un abbraccio anche a Cordiano Dagnoni e alla moglie Paola, un saluto a Pozzovivo, Ciccone, Tiberi e Pellizzari. C’è anche Lello Ferrara, che vorrebbe far ballare l’Ernesto, ma il Maestro è più lesto: «Secondo me non sa andare a tempo…».
Usciamo come siamo entrati: con i Baron. Ci accompagnano alla macchina. «Che bello, ma hai visto quanto è disponibile quel ragazzo? Ha la leggerezza di chi fa la propria professione come un gioco, non ho mai visto uno così. Il bello di Tadej è la gioia di fare un lavoro con gioia, come ho fatto io per tanti anni. Ma sai quante serate come questa ho fatto con Eddy?... », parte il racconto, partiamo anche noi.
«Alexa, chiama Vanni». L’Ernesto è tecnologico e avverte il genero che stiamo rientrando. «Ci siamo fatti proprio un gran bel regalo – mi dice -. Ci siamo fatti una gita assieme per andare a rendere omaggio e onore ad un ragazzo fantastico. Ma hai sentito, Tadej mi ha detto che il prossimo potrebbe correre il Fiandre e un giorno ha detto che proverà a correre nella stessa stagione Giro Tour e Vuelta… lui ce la può fare. Ma c’era qualcuno della Gazzetta?». Sì Ernesto, c’era Ciro (Scognamiglio). «Eh, ciula, non l’ho visto. Adesso lo chiamo, mi devo scusare». Poi di ritorno da Erbusco, si torna a parlare di Taddei, passando da Merckx. È un viaggio continuo tra passato e futuro, in un presente sospeso che rende anche un’autostrada la Via Lattea. «Io lo dico sempre: Eddy è Eddy, guai a chi me lo tocca, ma questo ragazzo farà ancora meglio. Nessuno è come lui: Tadej è unico». Un po’come l'Ernesto.