Sfilano facce amate e facce da evitare, più le prime delle seconde, quest'anno il primo incrociato è Vincenzo Nibali e devo dire che meglio non poteva andarmi: ha perso per strada la tensione di quando il Giro doveva vincerlo e si è ripresentato come un ragazzo solare e in pace con se stesso, ora ambasciatore e testimonial di un certo ciclismo, per me che già da tanto l'ho gustato come l'ultimo campione proprio un magnifico ricominciare, tra umanità e nostalgia leggera.
L'aria che si respira è di eccitazione e compiacimento aziendale, adesso che finalmente il padrone Cairo è riuscito a smuovere le coscienze governative, coinvolgendo ministri e parlamentari, scucendo anche un po' di soldi a mezzo sponsor pubblico, si percepisce una nuova consapevolezza e un indiscutibile aplomb da primi della classe.
Se dovessi dire, è un Giro sempre più dandy, in centro direbbero più fighetto, chiaramente vuole piacere alla gente che piace, quelli solitamente piazzati al golf, o in barca a Portofino, o nei consigli di amministrazione, insomma un Giro che vuole scrollarsi di dosso l'antica etichetta casereccia e paesana per salire i gradini della scala sociale, fino ai massimi livelli, dove nascono mode e tendenze, dove discutono e decidono i veri influencer, le elite dell'economia e della cultura, per le quali il ciclismo è sempre risultato al massimo un simpatico ambiente di sempliciotti sudati e inesorabilmente rozzi.
Utilizzo a tappeto dell'inglese, effetti speciali, bici elettriche, ambientini scelti nei villaggi dell'hospitality, tutto mira a vendere un prodotto sempre più raffinato e sempre più esclusivo. Quasi un nuovo status symbol, andare al Giro, in linea con la febbre della sostenibilità e della mobilità ecologica, questa bicicletta che sfonda tra i signori e anzi diventa un nuovo gioiello anche nei luoghi e nei salotti più in.
In tutto questo, vorrei capire – senza malizia, senza cattiveria – chi si è occupato di disegnare l'arrivo. Parlo del colpo d'occhio, dell'architettura, dell'estetica: in un Giro sempre più dandy e piacione, l'arrivo sembra ripescato di punto in bianco dalla metà del Novecento, di una tristezza sconsolante, tra sagra del casoncello e mercato del giovedì. Io sono un tipo che guarda più la sostanza della forma, che ama più l'arrosto del fumo, ma se questi genialoidi del marketing e del design mi propongono una simile tristezza, qualcosa ho da ridire. Soprattutto in un contesto generale che vorrebbe essere wow e internazionale.
Ecco, tornando monotonamente sempre al solito paragone: vadano a vedersi l'arrivo del Tour, poi mi sappiano dire se comprendono ciò che intendo dire. Qui manca solo il serraglio per gli asini e il banco della terracotta, perchè il quadro sia completo: due tubi e un paio di cartelloni sopra la linea del traguardo, un paio di furgoni tipo porchetta d'asporto ai lati (facenti funzione di palco premiazioni e cabine telecronisti), tutto quanto fa molto gara juniores (di paese) e molto poco grande evento di levatura mondiale.
Mi diranno: non è la scenografia che fa l'evento. A me lo vengono a dire? Loro, i signori del fumo e dell'immagine? Si mettano d'accordo con se stessi. Ma più che altro, si spremano un po' di più le meningi. Se questo è il massimo della creatività, con un simile arrivo il Giro passa per uno di quei dandy che dentro le scarpe hanno il ditone di fuori per il buco nelle calze. Pessimi.