Al Natale ci crediamo a stento, l’animo fanciullo non può germogliare se non per rari miracoli ad una certa età, ma nelle strenne di dicembre ci spereremo - come tutti, in silenzio - sempre.
E la strenna di dicembre, egoisticamente, non può essere per quelli come noi mica un IPhone o un paletot algidi, ma di principio un dono che ti restituisca una immagine che credevi mai più rintracciabile, nei giorni e nei modi a venire, un batticuore superstite ai giorni.
E così ti arriva un libro che non ti aspetti, «Io e la bicicletta nel cuore», di Vittorio De Martino, già bravo ciclista dilettante negli ultimi anni ’50, di Montoro Inferiore, un paese fra l’Irpinia e il Salernitano, la maglia “Baratta”, una intensa e brillante carriera nel Centro Sud sul bordo non varcato del professionismo, prima delle Olimpiadi di Roma.
Ti arriva, brevi manu, e ne sfogli le pagine, sfrecciano gli incontri con Bartali e Coppi, i nomi di Rimedio e Proietti, gli sprint di Damiano e i finali di Acconcia, la Coppa Caivano e la Coppa Milano....
Ti sfogli i ritagli di giornali quotidiani, ma quanto si correva al Sud, prima del 1960, e quante colonne e quante squadre, Montoro Internaples Lepori, e il Velodromo dell’Arenaccia, per addestrare alla pista i meritevoli. Ti sfogli le foto in bianco e nero, Vittorio De Martino, un signore gentile, animo di artista, ti regala un sorriso precisando come il suo Vangelo fosse «Prendi la bicicletta e vai...» di Giuseppe Ambrosini...
E poi, incredibile, il tuo sguardo si posa su una foto che non avresti mai pensato di poter vedere ferma, se non nell’ombra liquida della memoria. Una immagine di gruppo del Gran Premio tipo Pista, a via Caracciolo, Napoli, il 1° maggio 1959. E lì c’era, non ci avresti mai sperato più, mai arrendersi allora nella vita, fra Maspes e Rousseau, Gaiardoni e Gasparella, lì c’era presente il primo mito della tua infanzia vissuta fra le figurine dei ciclisti a cui affidare segreti e sentimenti, certi che almeno loro non li avrebbero traditi, come la compagna del primo banco. Spuntare lì, è il primo da sinistra, voi non lo vedete, io sì, Roger Gaignard, quel biondo velocista francese eclettico e disincantato, maglia Geminiani, che veniva dal circo e al circo dopo il ciclismo sarebbe tornato, come acrobata e virtuosista.
Gaignard, classe 1933, bronzo nel Mondiale dilettanti ’54 e in quello professionisti del ’57. Gaignard, sei volte pure campione della velocità in Francia. Ma quel che più conta, era lì il Roger Gaignard che mi catturava lo sguardo, io con la piccola mano in quella grande di mio padre, alla Rotonda Diaz della mia città, quel Primo Maggio del 1959, facendo le piroette sulla bici senza freni, da pistard. E sembrava dedicarle a me, che lo ammiravo sospeso.
Io e la bicicletta nel cuore, quel Gaignard che mi sorride, come tanti decenni fa, dalla pagina di un libro inatteso.
Io e «Prendi la bicicletta e vai...», e quella speranza di vita viva che gelosamente porti ancora serrata in te.
Io e quel cuore sempre in pista, fosse pure ormai solo sulla zeriba.
da tuttoBICI di dicembre
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