Compie ottant'anni oggi Bruno Reverberi, uno che nel ciclismo sembra esserci da sempre. Forse è davvero così: metà esatta della sua esistenza il manager reggiano l'ha trascorsa tra i professionisti, prima è stato molto altro, buon corridore dilettante e tecnico di giovanili, oltre che dirigente. Conosce il mondo della bici meglio di tutti, tutti conoscono lui: nell'ambiente è come uno di famiglia, non per nulla, lo chiamano Zio.
Ottant'anni di Reverberi, personaggio all'antica che all'antichità non si è mai consegnato: succede a chi tiene lo sguardo rivolto in avanti. Altrochè 'c'era una volta': lui c'è ancora, ovviamente in prima linea. Come longevità e continuità di squadra, è un esemplare unico: a cavallo fra due secoli, ha attraversato da protagonista le varie ere della bici, impermeabile a mode e rivoluzioni. Con una ricetta semplice, da vecchio e saggio contadino: mai fare il passo più lungo della gamba.
Da contadini, Brunone nasce in tempo di guerra nel Reggiano, a Bibbiano, la culla del formaggio che chiamano anche Parmigiano. Sesto di otto fratelli, vorrebbe andare avanti con gli studi, ma se la cava bene anche come meccanico: aiutare una famiglia numerosa gli segna la strada. Gliela segna anche il ciclismo, dove abbandona i sogni di professionismo quando capisce che lavorare in officina gli rende di più: chiamato a 22 anni a guidare la squadra del suo paese, ne rivoluziona filosofia e abitudini, gettando le basi per il team che dall'82 avrebbe preso posto in pianta stabile nel ciclismo che conta.
Da allora, di soddisfazioni Reverberi se ne toglie tante, per non dire quasi tutte: corre 40 Giri d'Italia, dove vince una trentina di tappe e indossa tutte le maglie, partecipa a Tour e Vuelta, conquista classiche italiane e corse all'estero, centra tre campionati italiani, due con Podenzana a metà anni Novanta e l'ultimo con Filippo Zana, e sale in cima al podio olimpico con gli australiani Lancaster e Brown a inizio millennio. Come tutti quelli che non hanno mai avuto la pappa pronta, ci riesce costruendosi in casa i corridori: i vari Cassani, Conti, Coppolillo, Guidi, Petacchi, Pozzovivo, Colbrelli, Maestri e Ciccone, per citarne alcuni, crescono tutti alla scuola di un tecnico che non le manda a dire, ma accanto al bastone tiene sempre pronta una carota.
E' storia, ma è anche attualità: quel Reverberi che cerca talenti alle corse dilettanti e offre loro un'occasione è lo stesso che oggi, insieme al figlio Roberto, manda avanti un modo di far ciclismo, fondamentale per i tempi che corrono in casa nostra. Lo fa con la Bardiani Csf Faizanè, che da oltre un decennio è una sorta di nave scuola: prima è stato l'unico team interamente giovane e italiano, adesso coltiva un nucleo di under 23 da svezzare nelle corse di categoria in attesa del salto al massimo livello, una cantera sul modello delle squadre straniere.
Quello di oggi è lo stesso Reverberi che non ha mai avuto paura di sfidare campioni e squadroni col suo modo di correre garibaldino ('Se non hai corridori da classifica, meglio muoversi in anticipo', ripete), che si è preso il lusso di conquistare la prima maglia rosa dell'era Pro Tour a dispetto dei team di prima fascia, che un anno ha promesso allo sponsor Scrigno tre o quattro vittorie e alla fine ne ha raccolte trentatrè, che in un Giro mandava all'attacco l'unico corridore che gli era rimasto e poi raccontava di avere l'intera squadra in fuga, che è diventato famoso nel mondo ciclistico per schiettezza e linguaggio popolare ('oggi si separano i maschi dalle femmine', disse prima di un tappone), che ha sempre riconosciuto alla moglie Giuliana l'appoggio decisivo nella famiglia e nel lavoro: ottant'anni sembrano perfino pochi per una vita da romanzo e chissà che prima o poi non ci scappi anche quello.