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E’ un antidoto a sete, fatica, stanchezza. E’ un contenitore di acqua, fiducia, speranza. E’ un testimone di amicizia, solidarietà, umanità. E’ un simbolo del ciclismo. E da quest’anno sarà un altro trofeo senza fine.
Nasce la Borraccia d’oro Coppi e Bartali. Da una parte l’immagine della celeberrima borraccia scambiata fra Fausto e Gino, dall’altra quella della chiesetta del Ghisallo. Perché il premio, confezionato nel laboratorio artigianale Mario Penello di Saletto di Vigodarzere nel Padovano e istituito dal Gruppo sportivo Madonna del Ghisallo, sarà consegnato – annualmente, in dicembre – a uno dei gregari più fedeli e generosi, portatori di acqua e fede.
“Il ciclismo – spiega Bruno Carraro, presidente onorario del Gruppo sportivo Madonna del Ghisallo – non dimentica mai i corridori più umili, si nutre delle loro storie antiche, tramanda le loro avventure nelle retrovie del gruppo o in lotta con il tempo massimo. Le vittorie dei campioni cominciano con il sacrificio dei gregari. E la Borraccia d’oro vorrebbe essere il loro Oscar alla carriera”.
Esisteva già una Borraccia d’oro, quella promossa dall’Associazione ex ciclisti della provincia di Treviso, animata da Germano Bisigato. Lo scorso anno i trofei sono stati assegnati a Renato Longo e Luciano Loro per il 2020 e a Tiziano Dall’Antonia e Lino Farisato per il 2021. “Il nostro riconoscimento – precisa Carraro – avrà un ambito nazionale, e non solo regionale, e si varrà del magico binomio di Coppi e Bartali”.
Comunque, il bello è ricordarsi degli ultimi, il bello è riscoprire gli inediti, il bello è valorizzare i dimenticati. Il bello sta nell’acqua, che è un inno alla vita, il bello sta nella borraccia, parola di origine spagnola del sedicesimo secolo, il bello sta nel collegare – almeno per un giorno – la storia (della bicicletta) con il romanzo (del ciclismo), la religione (della Madonna) con la geografia (del Ghisallo), e ancora una volta quei due, Coppi e Bartali, i nostri padri della patria a due ruote. Come se quella borraccia, proprio quella borraccia, proprio quella mitica borraccia, dal Galibier al Tour de France del 1952 finisse fra le mani di un valoroso plebeo della strada.
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