Non è un libro di ciclismo come gli altri: ‘Major Taylor, il negro volante’ è la storia del primo grande ciclista di colore. L’ha scritto Alberto Molinari, modenese, ricercatore e storico dello sport, che in 130 pagine non si limita alla biografia di un campione popolarissimo fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, negli Stati Uniti prima e in Europa poi: racconta anche di quanto seguito godesse in quell’epoca lo sport della bici, soprattutto in pista, e di come già fosse condizionato dal razzismo. Un testo che, come giustamente scrive Stefano Pivato nella prefazione, meriterebbe di diventare sceneggiatura da film, proprio per i vari aspetti che affronta.
Da film è stata anche la vita di Marshall Taylor, diventato Major per una divisa indossata nelle acrobazie sulla bici nel negozio in cui lavorava. Nato nel 1878 da genitori figli di schiavi, adottato e educato da una famiglia borghese che diede lavoro a suo padre come stalliere, a fine Ottocento si rivelò il velocista più veloce al mondo, qualità che lo portò a vincere il mondiale, oltre a diventare una star nei velodromi. Carriera tanto fulminante quanto osteggiata dai corridori bianchi, che mal digerendo la sua superiorità fecero di tutto per danneggiarlo in pista, e pure dagli organizzatori, che nel sud degli Stati Uniti arrivarono a vietargli tutto, dall’ospitalità alla possibilità di correre. Testardo e tenace, Taylor tirò dritto per la sua strada, continuando a vincere nel suo Paese ed esportando la sua fama in Europa, dove le sue gare fecero il pienone fino al 1910, anno in cui decise di dire basta, da campione affermato e benestante. Agiatezza svanita rapidamente in pochi anni, tanto che il Negro volante, come fu ribattezzato dalla stampa internazionale, morì in povertà nel 1932. Ricostruito attraverso le testimonianze dei giornali dell’epoca, compresi quelli collezionati dallo stesso Taylor, arricchito da un’interessante pagina su nascita e sviluppo del ciclismo su pista e sulla sua immediata popolarità, il testo di Molinari abbina al valore del personaggio anche un paio di temi interessanti: la conferma che il razzismo nello sport mise radici ben prima dei successi di Owens ai Giochi di Berlino, e la dimostrazione che i campioni di colore del nuovo ciclismo, come l’eritreo Girmay e prima di lui il connazionale Teklehaimanot, hanno un illustre antenato, affermatosi oltre un secolo fa.