La macchina? Code, stress, semafori, parcheggi, seconde e terze file, parolacce, gestacci, clacson, la benzina che costa un occhio della testa. La macchina no.
L’autobus? Chi spinge, chi tocca, chi alita, chi sporca, chi puzza, chi urla al telefono, e quei giorni in cui dell’autobus non c’è proprio traccia. L’autobus no.
La bici? Debole e fragile, ignorata e invisibile, esposta alla pioggia e al vento, anche ai ladri e ai vandali, ma dolce, agile, silenziosa, umana. La bici sì.
Federico Longo, da Noale a Roma, da ciclista provinciale (“Con la bici andavamo dappertutto, era la nostra compagna di giochi e di avventure, la usavamo tutti i giorni ed eravamo anche in grado di fare piccole riparazioni”) a ciclista universitario (“Il mercimonio era piuttosto diffuso e il malcostume dei furti una brutta abitudine, ma questa cosa della bici era accettata da tutti”, “si usava per andare in giro, si compravano dei bei lucchetti per evitare di farsela rubare, si prestava a qualche amico in caso di bisogno”) fino a ciclista metropolitano (“La bicicletta, in realtà, è l’unico modo per sconfiggere le auto e per ridare un senso al modo di muoversi in questo postribolo di traffico che non accenna a darsi una calmata”). La bici sì: anche a Roma, anzi, addirittura a Roma.
“A ruota libera” è il diario di un ciclista urbano, Federico Longo, pubblicato un paio di anni fa (Ultra, 112 pagine, 12,50 euro, con la postfazione dei Salvaciclisti di Roma, ma sempre vivo, attuale, urgente. Perché se il mondo muta velocemente (per dirne una: la pandemia che ha sconvolto economie e comportamenti; per dirne un’altra: è italiano l’uomo che corre più velocemente nel Pianeta), le condizioni di chi pedala a Roma sono eternamente tragicomiche. E Longo ne è consapevole: “Da Roma, da qualsiasi punto della città, non ci si può che arrendere a questa forza distruttrice; la bicicletta non esiste, è invisibile e vituperata, viene considerata una cosa per poveri avventurieri pazzi”. Eppure: la bici sì.
La bici sì perché “con buona pace di chi dice che questa non è una città per ciclisti, la città è di tutti e lo sarà sempre di più”. La bici sì perché “tra ciclisti non ci si può che volere bene e a volte è strano perché non tutti i ciclisti sono simpatici”. La bici sì perché “nessuno ti può rompere le balle quando pedali, al massimo arrivano gli insulti degli automobilisti ma quelli non fanno testo, quelli sono come una parte dell’arredo urbano, come i cassonetti che strabordano di monnezza, come i topi che ti attraversano la strada all’improvviso, cose a cui poi uno si abitua”. La bici sì anche per una questione di sicurezza, “da soli è impossibile litigare, essere molestati, essere aggrediti”, “le donne che vanno in bicicletta non devono sopportare le angherie tipiche di una società violenta e maschilista come la nostra”.
La bici sì perché, all’estero, si ha “la netta sensazione che le auto vengano trattate da occupanti abusive e inquinanti dei luoghi pubblici, da reiette disturbatrici della quiete pubblica, da pericolose criminali che creano il panico nelle strade e nelle piazze – cosa che in effetti sono”.
La bici sì nonostante le auto parcheggiate in doppia fila, nonostante le portiere aperte all’improvviso. La bici sì nonostante i ciclisti vengano sbeffeggiati, compatiti, considerati personaggi eccentrici che non meritano troppa attenzione, nonostante le buche (“A volte si ha come l’impressione che Roma sia costruita sulle buche”, “il rischio di sprofondare a Roma è vivo e reale, ci sono voragini enormi o piccole incavature nell’asfalto, sono ovunque e nessuno può pensarsi immune”). La bici sì nonostante il brutto tempo (“Non lo so perché, ma in queste situazioni mi piace ancora di più andare in bici; con i miei copri pantaloni grigi e la mia mantellina gialla ei guanti neri viaggio leggero leggero verso la mia meta”). La bici sì nonostante certi cartelli dove c’è scritto “bici no”.
“A ruota libera”, rispetto ad altri libri di ciclosofia e ciclostile, velocittà e velopensieri, ha una sua leggerezza spiritosa, una sua semplicità ironica, una sua schiettezza divertita. Perché in bicicletta “ho visto un’altra città, ho visto che ho cominciato a essere svincolato da mezzi, parcheggi, traffico, ho visto che potevo fare un sacco di cose in più, ho visto che non arrivavo mai in ritardo, che risparmiavo quattrini, che conoscevo altri ciclisti...”. La bici? Sì.
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