Quando Coppi telefonò in piena notte dal Vel d’Hiv di Parigi a Vincenzo Di Cugno, scrupoloso giudice di gara, a Milano, per domandargli per regolamento quanti giri di abbuono spettassero in caso di foratura durante un inseguimento. Quando Coppi ricevette un “vaffa” da Nino Defilippis staccato sulla Bocchetta durante il Giro dell’Appennino del 1955. Quando Coppi fu preceduto da un’onda di “è isso!, è isso!”, è lui!, è lui!, le voci degli appassionati durante il Giro di Campania del 1955. Quando Coppi si sedeva nella tribuna stampa dello stadio Ferraris a Genova accanto al decano dei giornalisti Renzo Bidone, nato a pochi chilometri da casa sua, dunque stesso dialetto, e insieme assistevano alle partite del Genoa o della Sampdoria. Quando Coppi ottenne le scuse pubbliche, un editoriale, di Jacques Goddet, patron del Tour e direttore dell’Equipe, che al Tour del 1949 lo aveva dato spacciato dopo una giornata di crisi. Quando Coppi fu segnalato prigioniero di guerra non più in Tunisia ma negli Stati Uniti, con tanto di indirizzo “per gli sportivi che vorranno scrivergli”, e non era vero.
Ma anche quando Marina, la figlia di Fausto, fu ritratta in una cartolina mentre viaggiava su una seggiovia a Caldirola, nell’Alessandrino. Ma anche quando Cesare Sangalli, il Cimabue delle cartine altimetriche e collaboratore di Vincenzo Torriani, telefonava al capostazione di Ovada per bloccare il treno che sarebbe passato lungo il percorso, e i passaggi a livello, della Milano-Sanremo. Ma anche quando Meo Venturelli vide aggirarsi, nella casa di Coppi, un servitore in guanti bianchi, e non ci poteva credere. Ma anche quando il conte Alberto Bonacossa promise un premio di cinquantamila franchi per chi fosse riuscito, nello stesso anno, a vincere Giro e Tour (e Coppi, il primo a fare la doppietta, molto probabilmente neppure sapeva di quel premio istituito 17 anni prima).
Non c’è pagina di “Coppi era così” senza un dettaglio, una curiosità, una gemma sulla vita del Campionissimo. Proprio come è nello stile e nel carattere giornalistico – cercare, scavare, scoprire, curare, verificare – di Giuseppe Castelnovi in questo libro pubblicato dalla Stampa e dal Secolo XIX su licenza del Consorzio turistico Terre di Fausto Coppi (192 pagine, 9,90 euro).
“L’ammiraglio”, o più sbrigativamente “Castel”, è stato a lungo caporedattore della “Gazzetta dello Sport” e responsabile della squadra interna, affettuosamente ribattezzata “Armata Brancaleone”, che diventava la redazione Ciclismo durante il Giro d’Italia. Resistendo alle invasioni del caposervizio inviato alla Corsa Rosa, per quattro settimane (tre di gara, ma c’erano anche i giorni prima e i giorni dopo) Castelnovi ideava, cucinava, arricchiva e sfornava le pagine evangeliche in cui seguire tappe e squadre, ordini e classifiche, fra cronache e interviste, ritratti e pillole, foto e vignette, frasi e cifre, scrutando il futuro ma senza mai dimenticare il passato. Sapeva che quelle pagine avrebbero fatto fede e storia. Nel mese di maggio “La Gazzetta dello Sport” tornava a essere il giornale nato per la bicicletta, cresciuto con il ciclismo, e che per vendere più copie aveva cominciato a organizzare Giro di Lombardia (dal 1905), Milano-Sanremo (dal 1907) e Giro d’Italia (dal 1909).
Ma in “Coppi era così” – Coppi è stato una vera luce della sua vita, e non solo di quella professionale – c’è di più. Perché stavolta, a differenza di altre sue opere ciclistiche e coppiane, c’è anche lui, Castelnovi. Finalmente. E la sua presenza, da bambino, da ragazzo, da studente, da cronista, da inviato, da caporedattore, da testimone, da storico, è preziosa. Non per gloria privata, ma per servizio pubblico. Non per vanto personale, ma per dovere – ma sì, dovere – storico. E allora quando “l’Ammiraglio” viaggiò casualmente in treno con Cino Cinelli, magnamino nel concedere a Coppi infortunato un’altra data per il campionato italiano di inseguimento e poi, a ripensarci, anni più tardi, piuttosto pentito del bel gesto. E allora quando “l’Ammiraglio” lanciò l’idea di porre una stele in ricordo di Luigi Ghiglione, il papà del Giro dell’Appennino, accanto alla stele già esistente in omaggio a Coppi, e l’idea fu accettata e realizzata. E allora quando “l’Ammiraglio” fece leggere un articolo di Dino Buzzati al suo professore di italiano e il professore lo fece leggere davanti all’intera classe per il valore letterario. E allora quando “l’Ammiraglio” assisteva al Vigorelli alle sfide di Coppi nell’inseguimento e al record di Baldini nell’ora, o alle tappe del Giro a Genova nello stadio della Nafta. E allora quando “l’Ammiraglio” parlò proprio con Coppi. E se “Coppi era così”, l’Ammiraglio è ancora così. Verso i novanta, con questa curiosità inesauribile.
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