Gianni Savio ha vissuto il Giro d’Italia tutto d’un fiato, impegnato a dare preziosi consiglio ai suoi ragazzi della Androni Giocattoli Sidermec e a gestire l’emozione di vedere Bernal in maglia rosa, nella penultima tappa è diventato anche nonno del piccolo Edoardo. Il team manager piemontese non si è fatto mancare proprio nulla, fino a poco più di un mese fa la sua formazione era rimasta esclusa dalla corsa rosa ma, richiamata in battaglia quasi all’ultimo, si è ritagliata un posto da protagonista. Da sempre scompigliatori seriali dei piani degli uomini di classifica, gli atleti dell’Androni hanno animato le fughe di tutte le tappe portandosi a casa ancora una volta il premio fuga Bianchi, questa volta grazie a Simon Pellaud.
La Androni Sidermec si è dimostrata ancora una volta un team compatto che non ha paura di andare all’attacco, ogni mattina prima della gara i diesse Ellena e Spezialetti danno le direttive e spesso si fa a gara a chi vuole andare in fuga. «Quest’anno i ragazzi sono andati veramente forte, non posso che essere orgoglioso di loro - racconta Savio a tuttobiciweb -: una delle prime scommesse vinte è stato Filippo Tagliani, è al primo anno da professionista ed è un velocista, ha aperto il Giro partendo per primo nella cronometro e si è distinto con molte fughe, non ha mai mollato nemmeno nelle tappe più difficili. Poi c’è Andrii Ponomar, il nostro talentino ucraino appena diciottenne. L’ho portato alla corsa rosa andando un po’ contro la mia filosofia, ma era costantemente controllato dai medici per evitare che per lui ci fosse uno sforzo eccessivo. Eravamo pronti a fermarlo in ogni momento, poi però tappa dopo tappa è andato sempre meglio, con la giusta esperienza diventerà un grande corridore. Certo, ci sono anche corridori che hanno reso meno di quel che ci aspettassimo, ma questo fa parte del gioco, va messo in conto e non intacca la nostra soddisfazione».
La grande soddisfazione di salire sul podio di Milano è stata però ottenuta grazie Simon Pellaud che è succeduto al compagno Mattia Bais nell’albo d’oro della Fuga Bianchi. Un successo ottenuto da tutta la squadra che, soprattutto nell’ultima tappa in linea, ha aiutato lo svizzero a prendere la fuga buona e a tenere sotto controllo Umberto Marengo, secondo in quella speciale classifica. «Alla partenza della ventesima tappa ai ragazzi ho parlato chiaro: dovevano mettersi a disposizione di Pellaud per chiudere ogni tentativo di attacco con Marengo. Volevamo portare a casa quel premio a tutti i costi». Gianni Savio non ha paura di mostrare il carisma che lo contraddistingue e di motivare i suoi ragazzi, li consiglia su come dosare le forze e come agire di esperienza.
I corridori della Androni Sidermec hanno regalato a Savio delle belle soddisfazioni, ma un’emozione grande grande gliel’ha portata Egan Bernal, il ragazzo colombiano che proprio lui aveva fatto conoscere al mondo giusto qualche anno fa. Il vincitore del Giro, prima di approdare al Team Ineos Grenadiers, ha militato due anni nel team piemontese, ma a Savio non piace dire di averlo scoperto, si riconosce solo il merito di aver dato il via all’avventura di un ragazzo nemmeno ventenne che aveva l’equilibrio psicofisico di un atleta di 30 anni.
In realtà nel ventiquattrenne colombiano sono rimaste la semplicità e l’umiltà che gli hanno trasmetto il manager piemontese ed il suo staff, la capacità di partire dal nulla e di farsi grande, di vivere la squadra come una famiglia e di essere prima una grande persona e poi un grande atleta. Savio lo considera un amico, uno di quelli che anche dopo tanti anni sono riconoscenti del cammino fatto insieme, quasi dopo ogni tappa si scambiano i messaggi e capita che qualche volta Egan chieda ancora qualche consiglio. Savio ci aveva visto lungo, aveva chiuso subito il contratto con il procuratore Alberati appena lo aveva visto scendere da un pullman di una squadra avversaria, scommettendo sul suo talento. Il team manager ama ricordare di averlo cresciuto come un figlio e il tentativo di metterlo sulla strada giusta senza aver paura di fermarlo. «Il primo anno in cui era con noi voleva fare a tutti i costi la Tirreno Adriatico, io però gli dissi di aspettare, era troppo giovane. In una corsa dura come quella avrebbe rischiato di essere fortemente condizionato sia a livello fisico che mentale. È stata una delle poche volte che sono stato duro con lui. Si tratta di piccoli dettagli ma spesso sono questi a fare la differenza».
A Milano Gianni Savio ammira il suo campione in rosa e lo saluta da lontano, ha il petto carico di orgoglio per aver creato l’ambiente ideale per farlo crescere. «Sono sicuro che Egan sarebbe diventato comunque un campione - ci confida infine -, io ho solo il merito di aver creato intorno a lui un ambiente senza pressioni in modo che potesse crescere e un giorno spiccare il volo. Né il Giro né il Tour sono merito mio, io posso solo dire di essere orgoglioso di aver fatto parte della sua storia straordinaria».