Si può fare. Dovremmo essere tutti infinitamente grati a Caruso, prima come italiani, che mai e poi mai avrebbero pensato di ritrovarsi un compatriota secondo sul podio di Milano, ma subito dopo come esseri umani, per il ripescaggio così coraggioso di antiche teorie e di antichi valori. Come un archeologo posseduto da una passione tutta sua, febbrile e bruciante, Damiano è andato a scavare sotto gli enormi cumuli delle nuove teorie e a ritirare fuori qualcosa che si credeva perduto per sempre: l'inventiva, l'improvvisazione, il coraggio. E anche un po' di sana incoscienza, certo che sì, nel dosaggio giusto e calcolato, prima di arrivare alla follia autolesionista.
Uno: senza squadra ormai non si va da nessuna parte. Due: attaccare da lontano al giorno d'oggi è da stupidi temerari, non si può più fare.
Eccolo qui, in tutta la sua stravaganza, il vero capolavoro di Caruso: con una tappa svalvolata, ribalta gambe all'aria i due dogmi più feroci e prontamente ripristina una legge eterna come il tempo, la legge che tiene in piedi le nostre misere speranze anche nelle situazioni più disperate, una legge di tre sole parole: si può fare.
Caruso può farlo anche senza una squadra, Caruso può farlo attaccando da lontano. Ma tu guarda le certezze del giorno d'oggi: basta un uomo con la schiena dritta e la testa lucida per vederle volare gambe all'aria.
A Caruso basta un solo compagno, instancabile come lui, il valoroso Bilbao. Non gli serve altro. Con lui se ne va, con lui costruisce un buon vantaggio, poi da solo vola a costruirsi quella che con dolcezza infinita, dolce e toccante come la sua Ragusa Ibla, definisce “la mia giornata da campione”.
Ovviamente io non sto qui a dire che la squadra non serva poi molto: l'unica armata presente nel gruppo ha dimostrato tutti i giorni che cosa significhi l'importanza della squadra. La Ineos ha assistito, accudito, consolato Bernal nei momenti buoni e soprattutto in quelli cupi. Ma fermiamoci lì, per favore. Proprio non si possono più sentire quelli che “la vittoria di Bernal è tutto merito della squadra”, come se Bernal fosse un pupo indifeso portato in giro sul passeggino da un battaglione di bambinaie. Bernal, che veniva da mesi infernali, ha fatto il suo, in tante occasioni da solista, a Campo Felice, a Montalcino, a Cortina, come usa tra i campioni veri (a 24 anni Tour e Giro, raccontatelo a qualcun altro che è possibile solo grazie alla squadra). Già che ci sono, sempre in omaggio al talento solitario di Caruso, vorrei ricordare che nemmeno un anno fa il buon Pogacar ha sfilato il Tour allo squadrone Jumbo di Roglic, contando sulle sue sole forze, giocando di talento, di forza, di astuzia. O neppure quella memorabile impresa fa testo?
Lo sappiamo, non c'è bisogno che i saputoni da tastiera ce lo ripetano dall'alto del loro magistero: meglio una grande squadra che nessuna squadra. Ma grazie al Cielo poi arrivano sempre i Pogacar e i Caruso a tenere aperta una porta sull'imprevedibilità del solista, se il solista ha stoffa e temperamento per sconvolgere le regole.
Si può fare. Caruso e Pogacar, ciascuno nei tempi e nei modi del proprio essere, l'hanno fatto. E' molto più complicato, è dannatamente più faticoso. Ma per fortuna quando c'è di mezzo un uomo speciale niente è davvero impossibile.
Questo ci manda a dire Damiano dalle altezze del suo giorno più bello, mentre gli sembra che l'universo respiri solo per lui. Si può fare. Non sembra neppure possibile, ma si può fare.