Giorgio Vannucci, 90 anni, rappresenta con brillantezza demografica la longevità fisica e mentale di un uomo al quale non pesa l'età nemmeno nella lucentezza di ricordare esperienze di vita trascorse da direttore sportivo sull'ammiraglia. Diventò famoso per aver dato il via alla carriera professionistica di Francesco Moser, uno fra i più grandi campioni di ogni epoca, ma anche per aver contribuito dall'89 a dare il via alla lunga serie di vittorie delle squadre di Ivano Fanini, che Vannucci scelse dopo la separazione da Moser nell'84.
«Ho sempre cercato di trasmettere ai miei atleti - dice - i veri valori dello sport perchè alla base di tutto c'è il fair play, un codice di comportamento che metto sempre come priorità per il rispetto delle regole di ognuno ma soprattutto nei rapporti con gli altri».
Lei Vannucci è considerato il vero scopritore di Moser. Ci vuole raccontare?
«In una corsa in Lunigiana, nel 1970, quando lavoravo per il Bottegone Mobiexport di Pistoia, un mio collaboratore - Luigi Cecchi - mi si avvicinò indicandomi un ragazzo che andava fortissimo. Mi misi a guardarlo ed era uno spettacolo. Correva per il Montecorona di Palù di Giovo. Gli chiesi: ci verresti a correre con noi? Lui rispose: devi dirlo ad Aldo (suo fratello più grande ndr). Il giorno dopo sul Lago di Garda il presidente del Bottegone Sandrino Fedi, sostenuto dal suo stretto collaboratore Renzo Bardelli, si assicurò la sua firma con un ingaggio oneroso di 50 mila lire mensili in più rispetto alla pretesa di Aldo Moser. Io al Bottegone in quegli anni avevo l'incarico di Assistent Ploegleider prima di acquisire il patentino ed iniziare ad allenare. Moser, inutile nasconderlo, è stata la mia più grande scoperta ed il corridore che rese famoso anche me con le sue vittorie. Nei rapporti personali nel tempo è diventato come un figlio. Anche pochi giorni fa ci siamo sentiti telefonicamente».
Moser passò professionista a suon di vittorie nel ’73 alla Filotex diretta da Waldemaro Bartolozzi affiancato da Aldo Moser e poi ritrovò Vannucci nel ’75. Si può però dire che quasi l'intera carriera professionistica di Moser, che con 273 vittorie è il terzo più vittorioso al mondo, si è avvalsa di Giorgio Vannucci.
NELL'89 DOPO MOSER SCEGLIE IVANO FANINI. Dopo innumerevoli successi con le squadre di Moser a Giorgio Vannucci non dispiaceva l'idea di lavorare con ragazzi più giovani e promettenti. Andò a fare il D.S. all'Ariostea Benotto, Ariostea Oece, poi alla Gis Gelati allenando anche Silvano Contini e Miro Panizza poi al G.P. di Camaiore fu avvicinato da Ivano Fanini che gli propose la sua squadra. Fu amore a prima vista.
«Di Fanini apprezzavo i suoi intendimenti ciclistici - dice il tecnico pistoiese -, la sua passione ma anche la personalità che aveva nel gestire con piccole risorse le sue squadre. Sapevo di andare incontro ad un assemblaggio più faticoso ma sicuramente più intrigante».
Di contro, per Fanini si avverava un sogno: aveva conquistato la fiducia del diesse che aveva diretto e lanciato il grande Francesco Moser. «Appena ebbi la certezza - dice l'attuale patron di Amore & Vita-Prodir -, non rinnovai il contratto a Mauro Battaglini per fare spazio a Giorgio Vannucci. Ha allenato le mie squadre dall'89 al ’93. Cinque anni meravigliosi, costellati da tanti successi alla guida della Polli Mobiexport Fanini, di Amore & Vita Fanini per finire con Amore & Vita-Galatron. Abbiamo messo il nostro nome nell'albo d'oro di diverse classiche italiane».
Vannucci portò al successo Pierino Gavazzi nel Trofeo Laigueglia e nel GP Industria e Commercio di Prato; Roberto Pelliconi che fece suo il Trofeo Matteotti oltre a vincere tre tappe al Sun Tour in Australia. La squadra di Fanini si impose nel 90 anche al Giro d'Italia vincendo una tappa con Fabrizio Convalle. Altri corridori che trovarono la vittoria furono Stefano Della Santa, Alessio Di Basco che vinse anche una tappa al Giro della Svizzera, lo svizzero Bruno Risi e soprattutto Giuseppe Calcaterra che nel ¿93 si impose al Giro dell'Appennino, in una tappa e nella classifica finale al Giro di Puglia. Di quest'ultimo il saggio D.S. ha un ricordo particolare: «Ero a correre con la squadra il Giro della Svizzera, quando l'amico Franco Mealli mi telefonò per invitarmi al Giro della Puglia. La sua insistenza fu tale che mi feci sostituire dal mio vice Giuseppe Lanzoni per accontentarlo. Portai alcuni corridori in Puglia e vinsi tappa e classifica finale con Giuseppe Calcaterra. Ecco, questi sono successi che ti ripagano di tanto impegno e che ti fanno capire di aver contribuito con il tuo lavoro ad arricchire il bilancio di una squadra».
L'AVVENTO DI CIPOLLINI…. Immediatamente prima della sua parentesi importante con le squadre Fanini, Giorgio Vannucci fu al centro di una trattativa che portò Mario Cipollini a correre per il Bottegone-Mobiexport Fanini. Aveva l'incarico di supervisore della squadra di Pistoia che, in attesa di passare a dirigere la Fanini , lo volle di nuovo a collaborare. Un contratto legava Cipollini a Fanini che quindi era proprietario del suo cartellino. Fu trovato l'accordo del prestito al Bottegone Mobiexport per la gioia dello sponsor gestito dai compianti Lando e Carla Cappellini ed il D.S. Daniele Tortoli chiese consigli al maestro pistoiese su come allenare l'astro nascente del ciclismo. Era il 1988, l'anno successivo Cipollini passava professionista alla Del Tongo, rimanendo nella storia come uno fra i più forti velocisti di ogni epoca. Giorgio Vannucci chiuse definitivamente la sua carriera professionistica a 67 anni da Assistente con la Ros Mary & Co Minotti Italia di Marino Basso.
Chiudiamo questo piacevole incontro ricordando due aneddoti che Vannucci ha scolpiti nella sua mente: uno piacevole, l'altro meno. «Bernard Hinault a volte mi si avvicinava in corsa chiedendomi consigli sui rapporti da usare in salita. Fra noi c'è sempre stato un reciproco rispetto - conclude uno degli ultimi maestri di ciclismo - ed anche la sua rivalità con Francesco Moser è sempre stata leale e di stima reciproca. La nota dolente invece fu quando Moser perse un Giro d'Italia per un paio di occhiali. Era il 1979 quando li notò sul cruscotto della mia ammiraglia lasciati da un corridore. Li indossò procurandosi una fastidiosa congiuntivite. L'infiammazione lo penalizzò limitandone il rendimento nell'intero Giro, altrimenti lo avrebbe vinto lui. Lo perse per poco più di due soli minuti. Mi fa piacere ricordare tante curiosità ma soprattutto aver lavorato nel ciclismo in un'epoca di grandi campioni e di fuoriclasse i cui nomi saranno per sempre ricordati».
da La Gazzetta di Lucca a firma di Valter Nieri