L'ORA DEL PASTO. RESISTENZA CASALINGA? PERLE D'ARCHIVIO - 32

STORIA | 13/04/2020 | 08:00
di Marco Pastonesi

 


A Faenza e dintorni il massimo dislivello è quello dei marciapiedi. Eppure lui andava forte in salita. Renato Laghi era un gregario di lusso, uno scalatore naturale, una figurina Panini. Le nostre strade – quelle del ciclismo – si sono spesso incrociate. E qualcosa era rimasto sospeso nei miei appunti presi anche sui tovagliolini di carta dei bar.


COLLO “Tredici anni da professionista, i primi tre – dal 1967 al 1969 - nella Germanvox-Wega del patron Romano Cenni. La squadra aveva due capitani, Ole Ritter e Vito Taccone. Non potevano esserci due corridori così diversi: Ole, danese, e Vito, abruzzese; Ole, razionale, e Vito, istintivo. Per via della geografia – abitava a Imola, a 15 chilometri da casa mia a Faenza -, mi allenavo con Ritter. E in pianura mi tirava il collo”.

PIOMBO “Ritter mi impressionava per due particolarità. La prima era l’allenamento per la cronometro, di cui era uno specialista: piombava i pedali e la borraccia della bici da strada, aggiungendo 5-6 chili, così quando poi pedalava in gara, sulla bici da crono, senza pesi supplementari, gli sembrava di volare. La seconda era la quantità di frutta che riusciva a divorare: certe mangiate di pesche e albicocche da non credere. Ma non solo quelle: ricordo anche tanta carne alla brace”.

PUGNI “Nel 1969 la squadra si spaccò. Taccone aveva un carattere – diciamo così – speciale. Era fumantino, irascibile, a volte esplosivo. Durante il Giro, a Campitello Matese, fece a pugni con Ivan Pierozzi, un nostro compagno alla Germanvox, toscano di Lamporecchio. Li trovammo mentre rotolavano, la sera, a terra, in albergo. Separato a fatica, Vito scappò dall’albergo. Ma non finì lì. La sera qualcuno ci fece uno scherzetto e alcuni di noi, anch’io, passammo la notte con il mal di pancia”.

SCOPA “Il giorno dopo i tifosi abruzzesi, alla partenza, chiedevano dove fosse finito Taccone. Vincenzo Torriani era preoccupatissimo. Poi Taccone comparve all’ultimo momento prima della partenza, fece quinto a Scanno e secondo a Silvi Marina. Io mi ritirai, svuotato, nella tappa di Silvi Marina, con Paolo Albonetti, faentino come me. I tifosi abruzzesi, dunque tifosi di Taccone, vedendo le nostre maglie gialle della stessa squadra di Vito sul camion-scopa, ci inveivano contro”.

STERRATO “Nel 1970 passai alla Sagit, sponsorizzata da una ditta di confezioni di abbigliamento di Triuggio, in Brianza, che si chiamava così dalle iniziali del proprietario, Sala Giuseppe di Triuggio. Il corridore più vecchio era Giovanni Bettinelli, poi c’era un pistard, Luigi Borghetti, gli altri erano tutti giovani passati l’anno prima dopo il blocco delle Olimpiadi. Il direttore sportivo era Lodovico Lissoni, ma il ciclismo non era il suo forte. La sesta tappa era la Zingonia-Malcesine. Si scalava il Croce Domini dal versante più duro, quello della Val Camonica. Eddy Merckx mise davanti, a tirare, i suoi gregari. Nel finale mi sganciai con un gruppettino. Vinse Enrico Paolini, io feci sesto all’arrivo e sesto nella generale. Il giorno dopo c’era la Malcesine-Brentonico. Il finale in salita era sterrato. Davanti c’era il mio compagno di squadra Oliviero Morotti, con l’ammiraglia, io poco dietro. Forai. Non avevo tubolari di scorta. Rimasi a piedi. Aspettai 10 minuti prima di essere soccorso. Merckx conquistò tappa e maglia. Io persi la possibilità di fare classifica, invece che 25° sarei potuto arrivare magari fra i primi 15”.

BATTAGLIA “Alla Sagit avevo carta bianca, potevo fare quello che volevo, quello che potevo, quello che mi sentivo. E allora davo battaglia. Raccolsi un sacco di piazzamenti. Quinto a Montelupo, ottavo alla Tre Valli Varesine, nono alla Tirreno-Adriatico, secondo al Giro dell’Umbria dietro a Gianni Motta in una volata a sei. Tant’è che a fine anno Franco Bitossi andò da Waldemaro Bartolozzi, il direttore sportivo, e gli disse di darmi un buon ingaggio: ‘Così smette di attaccare’. E con Bitossi rimasi sette anni tra Filotex, Sammontana, Scic, Zonca e Vibor”.

CAMERA “Gli ultimi due anni, 1978 e 1979, li feci con Roberto Visentini alla Vibor e alla Cbm Fast-Gaggia. Tredici anni di differenza. Lui era una giovane promessa. Ci misero insieme in camera: così io fui il suo primo compagno di camera, Davide Cassani sarebbe stato l’ultimo. Con Visentini si rideva. Mi voleva bene. Studiava da maestro di sci. Quando poteva, andava al Passo del Tonale. Il primo anno conquistò la maglia bianca di migliore giovane, il secondo anno rese meno perché sperava di passare nella Inoxpran di Davide Boifava”.

ARTICOLO “Dodici Giri d’Italia, l’ultimo nel 1979. Avevo quasi 35 anni. Su ‘Bicisport’ dedicarono un articolo a me e a Orlando Maini. Lui era il più giovane, io il più vecchio in corsa”.

ETA’ “Un corridore raggiunge il massimo a 30 anni. Successe così per Bitossi, per Dancelli, anche per Nibali, che a 30 anni ha conquistato il Tour de France e andava come una moto. E successe così anche per me: nel 1974, alla Scic, volavo”.

 

 

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