In principio fu uno scudetto con l’aquila, una freccia e i cinque colori dell’iride. Poi, sui telai prodotti da Ernesto Colnago, comparve l’asso di fiori. È il 19 marzo 1970. Michele Dancelli regala dopo 17 anni al ciclismo italiano la Milano-Sanremo. L’ultimo a trionfare nella città dei fiori era stato Loretto Petrucci, protagonista di una fantastica doppietta nel ’52 e ’53.
Un Dancelli in stato di grazia, che a 70 km dal traguardo rompe gli indugi e lascia i sedici compagni di avventura (tra questi Bitossi, De Vlaeminck, Godefroot, Kartsens, Aldo Moser, Van Looy e Zilioli) per involarsi tutto solo verso il traguardo. Un volo di rara bellezza, che fa suonare a festa le campane di Castenedolo, il paese nel quale il bresciano è nato ed è cresciuto.
La maglia di Dancelli è quella blu-camoscio della Molteni. Le biciclette, neanche a dirlo, sono quelle di Ernesto Colnago. Quel giorno è uno spartiacque: l’ultima vittoria di un marchio che sarà riposto nel cassetto dei ricordi e la nascita di un simbolo che nel mondo impareranno a conoscere molto bene.
L’asso di fiori ha però un ispiratore. Un padre putativo: Bruno Raschi. È il “divino”, così viene chiamato in quegli anni una delle firme più prestigiose e affermate della Gazzetta dello Sport, a suggerire a Colnago il nuovo simbolo. «Questo è il giorno di Dancelli, come tutti e più di tutti, aveva lungamente sognato e vagheggiato – scrive Raschi -. Ora è fatta. Possiamo ben dire che il trionfo è stato germinato dall’ira. Dobbiamo pensare che Michele Dancelli, anni ventotto, bresciano di Castenedolo, traesse oggi la forza e lo spirito delle endemiche virtù della sua gente. È perfettamente giusto che a distruggere il mito negativo della Milano-Sanremo, sia stato un grandissimo agonista, un corridore leonino lui…». «Al di là della linea, il ragazzo è finito dentro un assedio bene addestrato di carabinieri che l’hanno sottratto al calamitoso assalto della folla. Nel gran bailamme, ci è parso che i carabinieri l’arrestassero ed arrestassero insieme con lui la vittoria per troppo tempo latitante».
Di quel giorno Ernesto Colnago si ricorda molto bene, è stata una delle vittorie che più gli sono rimaste nel cuore, se non altro perché segna l’inizio di un nuovo inizio. «Ho ancora davanti ai miei occhi la sagoma di Michele - racconta Colnago nella sua dimora di Cambiago, in questi giorni difficili di emergenza e dolore per il Covid 19 -. Ho ancora nelle orecchie le concitate urla di Pietro Molteni, il gran patron della Molteni, che ad un certo punto non sta più nella pelle. Ricordo come se fosse ieri Giorgio Albani, il nostro direttore sportivo che è alla guida dell’ammiraglia e io in piedi con una bicicletta in spalla, pronto ad intervenire in caso di bisogno. Siamo in tre, ma sembriamo in trenta. Michele viaggia che è uno spettacolo, noi lo spingiamo con lo sguardo».
Scrive quel giorno Rino Negri, per anni capo della rubrica ciclismo della Gazzetta dello Sport: «È Dancelli, che da una ventina di chilometri viaggia da solo, ci dà dentro come se la via Roma fosse dietro l’angolo.
- Michele – l’affianca Albani – tieni presente la distanza, il Berta e il Poggio. Mangia zucchero.
- Quanto? – s’informa il bresciano.
- “Se te ghe la fet te regali el stabiliment”, se ce la fai ti regalo lo stabilimento, strilla papà Molteni. E ci fa venire in mente Giovanni Borghi quando, col busto fuori dall’ammiraglia della Ignis, al seguito di Miguel Poblet in un arroventato, avvincente finale di una tappa al Giro, sul Bondone, segnava con le dita i milioni di premio che avrebbe dato se ce l’avesse fatta a giungere da solo.
- Quanto vantaggio? – insiste Dancelli.
- Due minuti. Dietro sono insieme – l’avverte Albani -. Ricordati lo zucchero…
- Crede, ora, alla legge del compenso? – domandiamo ad Albani.
- Sanremo è ancora lontana.
- Una vittoria quanto varrebbe? - stuzzichiamo Molteni.
- Ci vorrebbe un computer – risponde l’industriale – per fare un calcolo del genere.
- È vero che lei darebbe tre milioni a Dancelli primo in via Roma?
Pietro Molteni sorride. Albani e Colnago intonano un “alé alé” a tempo di samba.
- Speriamo che non accada come l’anno scorso – diciamo a Colnago – quando hanno beccato Michele ai piedi del Poggio.
- Stavolta ce la fa – sentenzia Colnago -. Basta vedere come pedala».
Ci vede giusto Ernesto Colnago, e anche questa non è una novità, perché il mastro artigiano di Cambiago ci ha sempre visto lungo. «Ricordo il cuore che mi batteva in gola per l’emozione - racconta oggi il Maestro -. Ricordo la gente a bordo strada impazzita alla vista di Michele in fuga da solo. Mi è rimasto nel cuore quel sole caldo di una primavera che era alle porte e quella via Roma che ai miei occhi appariva come il “red carpet” del ciclismo mondiale. Alle spalle di Michele il belga Leman, staccato di oltre 2’. Dancelli si getta giù da Poggio come un falco che vede la preda. Si lancia a rotta di collo, leggero e sicuro. Pennella le curve come un provetto Leonardo. Io non sto nella pelle, e mi lascio andare ad un’esultanza che sarà immortalata su tutti i giornali del mondo: io in piedi sull’ammiraglia, con la bici in spalla e le braccia larghe a fendere l’aria».
Anche Colnago, nel suo gesto liberatorio, sembra un fiore. È da tempo che è considerato nell’ambiente l’asso dei meccanici, l’uomo fidato di Eddy Merckx e non solo lui. Una bicicletta che brulica di luce, mentre chi la conduce ha gli occhi di chi ancora non si capacita di quello che sta per fare. «L’asso di fiori nasce proprio quella sera, a cena – ci ricorda l’Ernesto -. Incontro Bruno Raschi e restiamo a raccontarcela un po’ fino a tardi. E così, tra un Michele Dancelli che vince su una bicicletta in fiore nella città dei fiori, Raschi mi suggerisce di farne un marchio: “l’asso dei fiori” è quello che più ti rappresenta – dice -. Tu sei un asso tra i meccanici. Il fiore è il seme che fa per te”. Non me lo sono fatto ripetere due volte, tornato a casa ho fatto preparare immediatamente un nuovo marchio. E da quel momento è cominciata tutta un’altra storia».
Quante biciclette, quanti corridori e quante vittorie in giro per il mondo fregiate dall’asso di fiori. Sono passati cinquant’anni da quel 19 marzo del 1970. Ernesto Colnago era nel fiore degli anni quando sbocciò quell’asso di fiori…
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