In forma è in forma. È pure bello tirato e di buon umore. Beppe Saronni si aggira per gli uffici di Magnago con passo svelto e colpo d’occhio da fuoriclasse: guarda, osserva, indica ciò che va sistemato. Coordina e ordina, senza cambiare mai il tono della voce: a lui non è mai servito. Se chiede, si fa. Punto.
Beppe è tornato in bicicletta, per stare meglio, dice. «Poca cosa, qualche uscita, senza alcuna finalità». È in gran forma, e ha voglia di parlare il “capo”, come da queste parti viene ancora chiamato, come il gruppo l’ha ribattezzato negli Anni Ottanta.
Giro d’Italia archiviato, con un bilancio positivo.
«Diciamo che dobbiamo ringraziare Valerio Conti e Jan Polanc, che hanno fatto un buonissimo Giro. Valerio per quello che aveva fatto vedere meritava di arrivare fino in fondo, ma un problema al soprasella l’ha costretto al ritiro. In ogni caso è stato bravissimo, vestendo per sei giorni la maglia rosa. Ma bravo è stato anche Jan Polanc, che ha vestito la rosa per due tappe prima di cederla definitivamente a Carapaz e ha chiuso la corsa rosa con un più che onorevole 14° posto. Contenti? Per questi aspetti certamente sì, ma noi siamo una grande squadra che dobbiamo ragionare da grande team e dobbiamo ambire a qualcosa di più e di meglio».
C’è anche la vittoria di Fernando Gaviria…
«Certo, arrivata a tavolino dopo la squalifica di Elia (Viviani, ndr). Fernando non era al top, questo lo sappiamo bene. Come sappiamo bene quale è il suo valore e cosa rappresenta per il nostro team. Si è dovuto ritirare a causa di un dolore al ginocchio sinistro, e ancora adesso è alla prese con questo fastidio, che il nostro ortopedico - il dottor Dirk Tenner - sta cercando in tutti i modi di risolvere».
Tour a rischio?
«È chiaro che in queste condizioni non può prender parte ad una gara così dura e selettiva. Il punto di domanda è grande».
Un anno fa avete chiuso con 12 vittorie in stagione, quest’anno al momento in cui scriviamo siete già a quota 20: 5 con Kristoff e Pogacar, 4 con Gaviria, 3 con Mirza, 1a testa con Molano, Ulissi e Philipsen.
«È chiaro che siamo soddisfatti, ma come ti ho già spiegato è altrettanto vero che un team con le nostre potenzialità deve ambire a molto di più. A livello numerico siamo sulla giusta strada, ma adesso, alla vigilia del Tour, dobbiamo aggiungere qualità e peso alle nostre vittorie. È normale che sia così».
La nota lieta è data chiaramente Tadej Pogacar, 21 anni, un ragazzo che ha già fatto vedere cose non comuni.
«È lì da vedere, e noi siamo stati bravi a vederlo tre anni fa quando lo mettemmo sotto contratto. È chiaro che dobbiamo ringraziare un amico, un ex corridore come Andrej Hauptmann (ex corridore Lampre, ndr), che l’ha segnalato a Fabrizio Bontempi, il quale mi ha sollecitato a conoscerlo. Ma credimi, quando mi sono trovato davanti questo ragazzo, ho avuto chiara l’impressione di avere a che fare con qualcosa di molto diverso dalla norma: di testa ha qualcosa di più. C’è davvero poco da insegnargli, va solo accompagnato: il talento è tutto lì da vedere».
Dove può arrivare un corridore come Valerio Conti?
«È migliorato molto ed è molto più consapevole dei propri mezzi. Credo che nelle brevi corse a tappe abbia molto da dire: tiene in salita, si difende molto bene nelle prove contro il tempo e in volata non è per niente fermo. Per le classiche di un giorno deve migliorare ancora, ma nei piccoli Giri può fare grandi cose. E poi è un cacciatore di tappe: questo può essere il suo obiettivo nei Grandi Giri».
Per il Tour la squadra è fatta?
«È chiaro che questo spetta a Matxin (Joxean Fernandez, ndr), il nostro team-manager, che con lo staff tecnico sarà chiamato a mettere in campo la formazione migliore. Abbiamo qualche punto di domanda, ma ci sono chiaramente anche dei punti fermi: Daniel Martin, Rui Costa, Alexander Kristoff, Bystroem, Troia, Henao, Marcato o Sutherland. Poi c’è sempre il punto di domanda di Gaviria…».
Ma anche quello di Fabio Aru.
«Fabio sta bene e questo è quello che più conta. Sta bene ed è sereno, ha ritrovato il sorriso e la voglia di correre in bicicletta. Sta disputando il Giro di Svizzera per verificarsi, per provare a vedere a che punto è dopo il delicato intervento al quale è stato sottoposto (operato il 1° aprile scorso all’arteria iliaca femorale, ndr). Diciamo che il Tour non è nel suo programma, ma le somme si tirano sempre alla fine, e non sarò certamente io a tirarle. Diciamo che il cuore di tutti noi è per rivederlo in Francia, ma in questo caso è bene usare la testa e fare le giuste valutazioni del caso. Fabio non è solo un corridore italiano, ma è un patrimonio della UAE Emirates e del ciclismo italiano. Tempo al tempo».
Quindi, mai dire mai.
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