Fa il suo esordio oggi su tuttobiciweb una nuova rubrica che in realtà non è destinata ai soli ciclisti, perché i suggerimenti, le proposte e i consigli di un mental coach come Omar Beltran sono diretti a tutti coloro che praticano sport. Omar ci proporrà di volta in volta dei temi, sviluppati attraverso interviste e articoli scritti direttamente da lui, per aiutare tutti i praticanti a migliorare il rapporto con lo sport.
Omar, di cosa si occupa specificamente il Mental Coach?
«Il ruolo del Mental coach è paragonabile al servizio offerto da un mezzo di trasporto, ovvero ti porta dal punto di partenza ad un punto d’arrivo. Non a caso il termine coach deriva dal vecchio inglese è significa letteralmente il nostro attuale pullmino».
Di chi si occupa il Mental Coach?
«Di chiunque, in qualunque settore, ad esclusione della malattia psicologica, perché è bene precisare che il Mental Coach non si occupa di disturbi psicologici: questo ruolo è riservato allo psicologo, allo psicoterapeuta e allo psichiatra. Il Mental Coach si occupa delle persone sane che sono smarrite, non si ricordano più qual e la strada da percorrere per arrivare dove vogliono andare».
Quali sono le specializzazioni del Mental Coach?
«Di base ci sono tre grandi aree d’intervento: il Life Coach, il Business Coach e lo Sport Coach».
Qual è la sua specializzazione?
«La mia specializzazione è lo Sport Coaching»
Che cosa la rende diverso dagli altri Mental Coach?
«Il fatto che faccio il preparatore atletico a tutti gli effetti. La specializzazione in fisiologia dello sport mi ha portato a creare una metodologia unica, basata su nozioni scientifiche in campo biologico. Questo mi consente di poter operare a 360 gradi nella performance dello sportivo».
Quindi lei parla la lingua dello sportivo?
«Ottima metafora, in effetti è così: normalmente opero vestito in tuta e non in giacca e cravatta. Conosco i meccanismi generali della mente dello sportivo in generale e del ciclista in particolare».
In che modo aiuta lo sportivo?
«Gli anni di esperienza mi hanno insegnato a creare metodologie operative basate sulle vere necessità del ciclista (di tutti i livelli): il primo bisogno da soddisfare consiste nell’aiutare il ciclista a non sprecare inutili energie in processi mentali ansiogeni. L’ansia da performance è, in assoluto, il peggiore nemico dello sportivo».
Perché il ciclismo?
«Il mio primo amore è stato la pallavolo, poi negli anni Ottanta mi sono avvicinato al mondo dell’endurance e ho allenato i primi corridori. Il ciclista è un vincente per antonomasia, se consideriamo che vincente è colui che non si arrende mai. Ma se ragioniamo in termini di probabilità di vittoria, qualsiasi corridore - anche colui che vince tanto come il nostro Elia Viviani - in realtà è un perdente: basta dividere il numero di vittorie per il numero di corse disputate... Ogni ciclista ha perso molte più corse di quelle che ha vinto. Nella pallavolo, per ogni partita hai il cinquanta per cento di probabilità di vincere, nel ciclismo ne hai una divisa tra tutti i partenti (e non sono mai solo due) in ogni gara. Questo è ciò che amo dello sport del ciclismo e dei ciclisti: atleti che non si arrendono mai e che, il giorno dopo avere perso l’ennesima corsa, saltano in bici e affrontano il duro lavoro per migliorarsi».
In che modo intende aiutare i nostri lettori?
«Con un percorso di autoformazione, offrendo i consigli necessari per migliorare la propria performance sconfiggendo il peggiore dei nemici, quello che abita nella nostra testa».
E da dove si parte?
«Dagli obiettivi, l’autista del taxi o del pullmino non può portarti da nessuna parte se chi sale a bordo non ha le idee chiare riguardo la sua destinazione. Quindi partiremo dall’inizio: saper formulare obiettivi in modo corretto».