Nella lista degli obiettivi da raggiungere con la nuova squadra, i tecnici di Moreno Moser al primo posto hanno messo: “Vogliamo vederti sorridere”. Mario Manzoni e Valerio Tebaldi la buttano sul ridere, ma neanche troppo. Prima di stilare programmi e snocciolare obiettivi da raggiungere, per rilanciare uno dei talenti più brillanti del nostro ciclismo bisogna fargli provare di nuovo il piacere di andare in bici. Ad ammetterlo è lo stesso Moreno. «Ti dico la verità, sono veramente fiducioso ed entusiasta di iniziare questa nuova avventura. Il cambio di squadra mi stimola moltissimo. Qualcuno lo riterrà un passo indietro, ma mi ci voleva. Mi ritrovo in una realtà più piccola rispetto al passato, che mi offrirà molte più occasioni e, da un certo punto di vista, anche un calendario più facile» racconta dopo la prima giornata di ritiro con la Nippo Fantini Faizanè ad Asiago.
Prima impressione della nuova squadra? «Non mi sembra di essere finito in un team Professional. Sto vivendo un primo training camp molto simile a quelli vissuti con la Liquigas, la Garmin e l’Astana. A livello di organizzazione tra meeting, osteopata, psicologo, addetto stampa, social media training, prove materiali, test fisici e quant’altro non manca proprio nulla».
Per il tuo cognome e per quello che avevi fatto vedere a inizio carriera, in tanti si aspettano un tuo rilancio… «Dire cosa mi è mancato negli ultimi anni non è facile, me lo sono chiesto spesso anche io. Se avessi trovato una risposta definitiva quest’anno sarei in grado di vincere il Giro d’Italia (scherza, ndr). C’erano sicuramente molte aspettative nei miei confronti, più che per il mio cognome per ciò che ho raccolto nel primo anno tra i pro’ (5 vittorie nel 2012 e una memorabile Strade Bianche all'inizio della stagione successiva, ndr). Anche se mi fossi chiamato Gianni Rossi le aspettative sarebbero state alle stelle. Mi sono sentito dire: “sei più forte di Sagan”, “sei più forte di tuo zio”, “sei più forte di Nibali”… Ne ho visti pochi, anche dopo di me, debuttare così nella massima categoria. Semplicemente il mio lavoro è uno sport e non matematica. Quando parli del corpo umano ci sono mille fattori che possono influenzare la prestazione, non si può dare nulla per scontato. Io ho sempre cercato di dare il cento per cento. Per vedere una mia prestazione super non dobbiamo tornare poi così tanto indietro. Ho vinto nove mesi fa il Laigueglia, di forza, non di fortuna. Non sarà la Liegi, ma è la dimostrazione che posso staccare tutti quando sono in giornata di grazia. Detto questo di sicuro mi è mancata la continuità di rendimento. Se in una stagione avessi avuto dieci giornate come quella lì sarebbe stata un’annata totalmente diversa».
Con il preparatore Maurizio Mazzoleni, che con la sua Modus Vivendi, ti ha seguito all’Astana e continuerà ad affiancarti alla Nippo, l’obiettivo sarà trovare la ripetibilità della prestazione. «Sono anni che lo dico, ma sto davvero lavorando per capirmi. Per capire cosa sbaglio ogni volta. Effettivamente continuo a sbattere la testa contro lo stesso muro. Qualcuno pensa sia il sovrallenamento, qualcun altro dice che c’entra la testa, ma a questa seconda teoria credo fino a un certo punto. Quando sei in bici se le gambe vanno, va anche la testa. La relazione è più inversa, secondo me. Se non vai, la testa ti molla. Se stai bene perché la testa dovrebbe fregarti? Dopo il Laigueglia io ero super motivato e consapevole, però il mio corpo mi ha abbandonato. Dovremo stare ancora più attenti, calibrare ancora meglio i carichi di lavoro. Non tutti i corpi sono allenabili allo stesso modo, invece di fare a gara a chi si allena di più per farlo vedere al team manager, al preparatore, ai compagni, devo concentrarmi su cosa sento e ho bisogno io. Non si può andare forte 300 giorni all’anno, di giornate buone ne bastano una decina. Se in quelle 10 giornate centri 3 vittorie hai già fatto una grande stagione, soprattutto in un team così. Magari in Astana se vinci al Laigueglia non interessa a nessuno, qua conta».
Questa nuova dimensione ci farà scoprire un nuovo Moreno Moser? «Sto lavorando su me stesso, cercando di annullare le influenze esterne. Il mondo del ciclismo per certi aspetti è limitato. Se hai talento e non vai forte significa che non ti sei allenato abbastanza o non fai la vita da corridore. La verità è che io ho sempre fatto il professionista, ma le critiche della gente mi hanno quasi convinto che sbagliassi qualcosa. Per questo sport ho sacrificato tutta la mia vita. Finché ero in una squadra World Tour, con uno stipendio importante, non potevo fregarmene dell’opinione altrui. Ora sono arrivato a un punto in cui voglio correre solo per me, per cercare di essere felice di quello che faccio, senza pensare a tutto il resto».
Negli ultimi tempi non eri più felice di essere un corridore? «Sicuramente. Come potevo esserlo? Per quanta passione hai per l’andare in bici, quando ti stacchi ad ogni gara non è una gran sensazione. A me piace un sacco allenarmi e affrontare tutti i sacrifici che questo lavoro comporta però se, dopo tutto, non sei al livello che vorresti andare in gara diventa un incubo».
foto Dario Belingheri ©BettiniPhoto