Era partito per l’Indonesia con una valigia piena di sogni nemmeno troppo campati per aria. Aveva pianificato il viaggio in ogni dettaglio. Una parte della trasferta era molto legata al business, l’altra invece più divertente con una pedalata insieme a dei clienti asiatici che lo reclamavano a gran voce per la sua competenza in fatto di ciclismo, di preparazione e di tecnica. Un fiume in piena quando raccontava del fatto che ora poteva ampliare la gamma prodotti e andare sul mercato con misuratori di potenza e altre componenti che rendevano più bello e completo il piano industriale. Avrebbe incontrato e discusso di futuro con i suoi nuovi soci.
“Un asiatico e un americano, e poi ci sono io per l’Europa. In questo modo possiamo coprire bene tutti i mercati”. Era uno che guardava al mondo, Andrea Manfredi, uno che non aveva paura di dar forma ai sogni. Ci sentivamo, ultimamente spesso. Voleva che la sua Sportek, azienda da lui fondata e che produce ciclo computer, fosse dinamica e innovativa, ma soprattutto che mantenesse un aspetto umano. Lo ripeteva più volte durante i discorsi.
“I miei clienti mi chiamano e mi ringraziano perché noi ascoltiamo quando hanno dei problemi. Facciamo di tutto per aiutarli e non li lasciamo a perdersi dentro una voce registrata di un call center. Rispondo in prima persona, anche alle 3 di notte, perché non ho molto tempo. Mi dedico pure ad un’attività di famiglia che occupa tanto spazio. I miei genitori però mi lasciano fare e assecondano questa mia grande passione per il ciclismo e per la tecnologia”.
Tre anni tra i prof e qualche squadrone lo aveva tenuto monitorato. “Sono stato un talento? Forse è vero, ma poi tutto passa e ormai non è più il mio tempo. Qualche numero ce l’avevo. Me lo disse anche Olivano Locatelli, che non è uno che si spreca in complimenti. Comunque vado ancora forte, mi basta poco per essere competitivo. La bici è una passione che non muore mai. Ho provato a portarla nel mio territorio con convinzione” (2 anni fa con l’Ente Fiera di Massa avevo dato vita ad un’expo).
“Comunque una cosa la dobbiamo fare. Mi devi aiutare a far sapere che io non ero solo un corridore. Vorrei che si sapesse, in futuro, che ho lottato per essere più forte di me stesso. I ragazzi badano troppo alla magrezza ed io mi sono ammalato. Non mi volevo più bene. Ecco, vorrei essere d’esempio per qualcun altro con la mia storia, quella di uno che ha capito che se voleva vincere, doveva lasciar perdere il ciclismo agonistico. Ecco, mi devi aiutare a far sapere questa cosa, soprattutto per i più giovani. La vita va avanti e ci sono tante cose belle da fare, anche nel lavoro”.
Andrea Manfredi era tante cose, mente svelta, delicato, ben pettinato con la camicia stirata a leggermente aperta. “E’ lo stile italiano. Devi sapere che gli stranieri diventano matti per queste cose”.