Puf. Una volta era l’unità di misura della bomboletta antiasmatica, ora non più: è l’assordante fragore del big-bang che ha mandato in frantumi, disperdendoli in tutto il cosmo, l’attendibilità e la rispettabilità dell’antidoping. Puf, e non ne resta più niente.
Ci vengono a dire imperturbabili e sereni che quei limiti, verificati in quel modo, sono tutta una barzelletta. Finora s’è scherzato, boys: ma sì, caro Petacchi, caro Ulissi, carissimi tutti quanti che vi siete giocati non tanto un pezzo di carriera, quanto l’intera reputazione, ma sì, s’è scherzato. Ci siamo divertiti tutti da matti a creare mostri, a demolirli come dopati professionali, a lasciare solo macerie di carriere così importanti.
In quanto al salbutamolo, siamo tutti delle patacche colossali. Tutti, ma sopra tutti loro, i signori della scienza applicata al doping. Adesso, davanti all’assoluzione di Froome, il quale a sua volta potrebbe benissimo incavolarsi nero per tutti gli insulti e le rogne che gli sono arrivati gratis (e chissà quanto piscio gli rilancerà addosso il compassionevole pubblico francese), adesso apprendiamo che anni e anni di castighi implacabili sono ingiusti e sballati.
Personalmente non voglio neppure entrare nel merito: non ne ho i titoli, tanto meno le competenze. Voglio però gridare ad alta voce che così non si fa. Che non è accettabile. Gli uomini colpevoli si distruggono soltanto in presenza di elementi certissimi, inconfutabili, indistruttibili. Se invece siamo andati avanti a distruggere uomini con metodo spannometrico, pronto ad essere smentito alla prima vera causa legale di una squadra danarosa, allora potete letteralmente andare a quel paese, voi signori della scienza e dei regolamenti.
Se c’è una cosa di cui ha bisogno un sistema, qualunque sistema, questa cosa è poche regole certe. E’ la base del buon funzionamento. Quando invece tutto è labile, arbitrario, relativo, quel sistema frana. Non sta più in piedi. E questo è quanto sta succedendo: il salbutamolo è il puf che dissolve nell’aria anni e anni di durissima lotta al doping, cruenta e sanguinosa come tutte le guerre. Da oggi, tutti avranno buon gioco a ridere di tutto. Perché questo è il vero effetto della sentenza, molto prima della riabilitazione di Froome: se fino ad ora abbiamo messo in dubbio corridori e risultati, dubitando ormai di qualsiasi vittoria, da qui in avanti potremo tranquillamente dubitare anche al contrario, delle regole e dei castighi, finendo per santificare anche chi non lo merita, magari con l’ago in vena. Già mi sembra di sentire il coro del revisionismo: hai visto, magari anche le provette di Campiglio non erano attendibili, magari anche gli esami ad Armstrong non erano così certi, eccetera, eccetera.
Signori dell’Uci, vergogna. Avete fatto più danni di un giudizio universale: non perché avete assolto un corridore – quella è sempre una buona notizia – ma perché avete riconosciuto davanti al mondo intero che il vostro sistema di garanzie fa acqua da tutte le parti. E fa pure un po’ ridere. Nessuna certezza è più possibile. Purtroppo, anche nessun rispetto. Quale rispetto si può ancora avere di gente che si accorge dopo decenni dell’inattendibilità di un suo esame chiave? Puf, salta tutto per aria. Puf, ed è fungo atomico. Con un paio di effetti collaterali per niente ridicoli. Primo: a costo zero, sulla vicenda Froome il Tour ne esce comunque come serio e inflessibile, l’esatto contrario del Giro. Secondo: grazie al trionfo Sky, da ora in poi i valori davvero decisivi per l’antidoping non saranno più quelli ematici, ma quelli di Borsa.
Mi chiedo solo se nella stanza dei bottoni, là all’Uci, qualcuno si renda conto del disastro. O magari staranno brindando al trionfo della giustizia?