MASNADA E LA LEZIONE DEL GIRO

PROFESSIONISTI | 27/06/2018 | 08:07
di Giulia De Maio

Essere al via di un Giro d’Italia è il sogno di tut­ti i ragazzi che praticano ciclismo, un sogno che soltanto in pochi riescono a realizzare ma che, una volta raggiunto, può cambiare la vita. È il caso di Fausto Masna­da, ventiquattrenne bergamasco in forza al team Androni Giocattoli Sider­mec, che al secondo an­no fra i professionisti ha debuttato nella corsa rosa. Per tanti chilometri, salendo verso Campo Imperatore, c’era il tifo di tutto il mondo del ciclismo a spingerlo verso il traguardo: ha firmato davvero un numero eccezionale e si è visto raggiungere dal gruppo della ma­glia rosa a meno di tre chilometri dal traguardo. Un momento che non potrà mai dimenticare.


Cosa ti ha colpito della corsa rosa?
«L’atmosfera, le persone, tutto quello che ruota attorno alla gara è impressionante. Mi avevano avvisato che il Giro era diverso dalle altre gare e, nonostante le alte aspettative, non sono rimasto deluso. Non mi era mai capitato di sentire un tifo così forte a bordo strada, è stato davvero bellissimo. La tappa abruzzese mi rimarrà nel cuore anche se essere ripreso a meno di tre chilometri dal traguardo, dopo tutta una giornata in fuga, non è stato il massimo. Il livello della corsa è stato pazzesco, per tre settimane ho potuto confrontarmi con i migliori al mondo. Non c’è quasi mai stato spazio per le fughe, i miei compagni più esperti mi hanno detto che è il primo anno che si è andati sempre “a tutta”».


Hai scelto l’anno giusto per il debutto...
«In effetti ho letto che abbiamo fatto segnare una media record e mai c’erano stati così tanti arrivi in salita (sorride, ndr). Ho imparato che bisogna arrivarci avendolo preparato senza lasciare nulla al caso, altrimenti si deve sopportare una fatica quotidiana assurda. Se­guendo i suggerimenti di Gavazzi e Frap­porti ho cercato di gestirmi al me­glio, senza sprecare troppe energie, perché se no il giorno dopo paghi. Un esempio? Quando ti stacchi da 30 corridori devi mollare e non continuare a insistere perché perdere cinque minuti invece che due è meglio per recuperare ed essere protagonisti nella tappa successiva».

Un ricordo di un Giro d’Italia del passato?
«Ho visto parecchie edizioni del Giro d’Italia da bambino e sicuramente Pao­lo Savoldelli mi ha lasciato un ricordo indelebile con le sue discese al limite. Recentemente mi è piaciuto molto il Giro vinto da Contador, con Aru che fi­no all’ultimo giorno ha provato a strappargli la maglia. Disputare il mio primo Giro d’Italia è stato senza ombra di dubbio la realizzazione di un so­gno che avevo fin da quando ero bambino. Ventun tappe sono davvero tante, ho cercato di difendermi nel migliore dei modi, affrontando tappa dopo tap­pa come se fossero gare singole senza pensare al giorno dopo. Nel complesso sono soddisfatto della mia prestazione».

Con quest’esperienza in tasca, potrai tornarci con maggiori ambizioni.
«Sicuramente. Dopo aver “picchiato il muso”, ogni anno sarà sempre meglio. Crescendo, cercherò di andare a colmare alcune lacune in salita o a crono, mi allenerò più nello specifico per ar­ri­vare pronto alla battaglia. Non penso potrò mai lottare per la generale, per essere tra i primi in un grande giro devi avere quel qualcosa in più che io non ho.  Potrò essere protagonista in salita, puntare alle tappe è un obiettivo più realistico».

Ti sei fatto notare da grandi squadre...
«Mi fa piacere. Io ce la sto mettendo tutta per mettermi in mostra. Alla Androni Sidermec sto bene, non mi manca nul­la, ma è giusto puntare sempre più in alto per mi­gliorarsi. Quando arriverà la chiamata di un grande team sarò felice di ringraziare la Androni per avermi dato fiducia e fatto crescere al meglio, e sarò pronto per il grande salto».

Sappiamo che ti piace leggere: che libro hai portato con te al Giro?
«La mia ragazza mi aveva messo due libri di Roberto Saviano in valigia, ma ne ho solo cominciato uno sull’aereo per Gerusalemme poi non ho più avuto tempo e forze. Mi sono concentrato sul Garibaldi e ho attaccato le figurine all’album Panini».

Come hai festeggiato la fine del tuo primo Giro?
«Mangiando una mega pizza e rilassandomi. Ho trascorso una settimana tranquillo, senza scocciature, senza pensare a nulla. Ho concesso al mio corpo una quindicina di giorni per recuperare pri­ma di tornare in gara al Giro di Slo­ve­nia, all’Adriatica Ionica Race e al Cam­pio­nato Italiano, poi a luglio staccherò la spina completamente, per una settimana non toccherò la bici e andrò a vi­sitare una città europea».

Ami viaggiare.
«Sì, ogni inverno cambio meta per le vacanze. Adoro scoprire nuovi posti, la mia prossima destinazione probabilmente sarà l’Inghilterra, non ci sono mai stato. In generale amo stare fuori casa e passeggiare con Teo, il mio cavalier king che ormai è diventato la ma­scotte della famiglia, composta da mam­ma Tiziana, casalinga, papà Gian­carlo, che è in pensione, e mia sorella Elena, che è più grande di me di 5 anni e lavora in banca».

E poi c’è Vittoria.
«Abitiamo insieme a Bergamo. Di re­cente si è laureata in Lingue e lavora nell’azienda di famiglia, che si occupa di meccanica di precisione. L’ho conosciuta sei anni fa tramite amici, vivevamo nello stesso paese, l’amore è scoccato in modo naturale».

Quanti tatuaggi hai?
«Quattro. Il primo che ho fatto è un teschio maori con gli occhi a forma di bici. Mi piaceva l’immagine, l’ho modificata per rappresentare la mia passione per le due ruote, me l’ha disegnata un tatuatore italiano che abita in Spa­gna. Rappresenta bene la mia condizione post Giro, sono così stanco che te­mo mi si stacchino anche i denti (ride, ndr). Poi ho un amuleto tailandese, che dovrebbe scacciare la sfortuna, sulla spalla sinistra e una scritta sempre in tailandese sul costato che raffigura la mia data di nascita nel calendario buddista. Sono stato in vacanza l’anno scorso in Tailandia, l’ho girata praticamente tutta e me ne sono innamorato. Infine sulla scapola destra ho la frase di una canzone che ha tatuato identica anche la mia fidanzata, ce la siamo fatti imprimere sulla pelle dopo un anno che stavamo insieme».

Da quanto pedali?
«Ho iniziato a correre a 6 anni, da G1, la passione per la bici mi è stata trasmessa da un amico che aveva iniziato qualche mese prima di me. Correvamo nella stessa squadra, la Pedale Brem­bil­lese, alla mia prima gara io ho fatto secondo e lui terzo. Dopo pochi giorni lui ha smesso, io ho continuato fino ad oggi e spero di farlo ancora per molto. Dagli inizi alla categoria junior questo sport per me è stato un gioco, poi per quanto mi piaceva è diventato un impegno sempre più importante finché non è diventato un lavoro a tutti gli effetti. Tra alti e bassi sono arrivato fin qui. In tasca nel frattempo mi sono messo il diploma da perito elettrico».

Cosa ti aspetti dalla seconda parte di stagione?
«Dopo lo stacco di luglio, andrò in al­tura per preparare nel modo migliore le corse di settembre: la squadra tiene in modo particolare alla Ciclismo Cup che può portarci al Giro d’Italia 2019. Vor­rei far bene al Giro dell’Emilia, al Tro­feo Beghelli e al Lombardia. Da metà settembre a metà ottobre ci aspetta un mese intenso per il quale dovremo farci trovare pronti».

da tuttoBICI di giugno

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COMMENTI
peppino
27 giugno 2018 19:21 tempesta
Egiusto scrivere, di corridori che non saranno mai campioni perche anche partecipare bisogna essere forti. ILfatto e che di questi cosidetti corridori ne abbiamo un esercito e di campioni se togliamo Nibali Zero quindi mi sembra che ormai bisogna accontentarsi di questo. Sono anni di dolore e non si vede la fine del tunnel.

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