GIRO D'ITALIA | 23/05/2018 | 07:10
Ne aveva già vinte tante di tappe, diciassette. Otto soltanto in quel Giro, anno di grazia 1936. Cominciava a sentirsi vecchio, a novembre avrebbe compiuto venticinque anni ma erano soprattutto i chilometri a pesare. Gepin era passato professionista tre anni prima, tre anni che sembravano trenta sui suoi garretti. Ma a guardarlo da fuori Giuseppe Olmo, nato a Celle Ligure sul finire del 1911, manteneva la sua proverbiale armonia, era elegante, un vero modello di stile. E poi vinceva, da quando un altro campione ligure, un altro Giuseppe, Olivieri, lo aveva convinto a fare il corridore ed era diventato il suo allenatore.
Da dilettante Olmo era stato campione italiano. Ai Mondiali del ’31, quando aveva vent’anni, fu secondo a cronometro. L’anno dopo, ai Giochi di Los Angeles, fu oro nella cronosquadre assieme a Pavesi e Segato. Appena diventato professionista vinse la Milano-Torino, dietro di lui si lasciò tutti grandi campioni. Nel ’35, nel giorno del suo onomastico, aveva vinto la Milano-Sanremo battendo Learco Guerra in volata ed era arrivato sul podio del Giro. Un giorno gli proposero di provare il record dell’ora, e non ci pensò su molto perché la pista lo affascinava più di ogni altra strada. «Pedalando, sul parquet, maglietta e tubolari di seta, io sentivo un fruscio: il fruscio di una vela sul mare». Dopo ventiquattr’ore era già al Vigorelli per il suo tentativo. Era il 31 ottobre, alla fine di una stagione infinita. E non aveva fatto nessuna preparazione specifica. Nella notte era caduta la pioggia, e aveva bagnato la pista. Olmo aspettò nello spogliatoio mentre la asciugavano. Alla fine cosparsero sul legno un velo di alcol, e appiccarono il fuoco. «Una vampa blu, una fiammata, vicinissima al pelo di corda», scrisse Mario Fossati. Sulle tribune non c’erano spettatori, non c’era stato neanche il tempo di avvisarli. Ma Gepin fece il record, chilometri 45,090, primo al mondo a superare il muro dei 45 orari, e se lo tenne per un anno.
Era ancora suo quando tornò al Giro d’Italia, nel 1936.
A gennaio era morto Giorgio V, il re d’Inghilterra, e sul trono era arrivato suo figlio Edoardo VIII. Un mese e mezzo più tardi Adolf Hitler aveva inviato duemila soldati in Renania. In principio di maggio in Italia venne proclamato l'Impero dell'Africa Orientale Italiana e Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Imperatore d'Etiopia. Mentre Olmo correva il Giro d’Italia la Fiat presentò la 500 «Topolino». Il mondo stava precipitando verso qualcosa di oscuro, e Gepin correva, correva. Passista con uno scatto ferale, sapeva arrangiarsi anche in salita: in quel 1936 vinse addirittura la cronoscalata del Terminillo davanti a Mealli e a Bartali. «Nessun uomo su di una bicicletta può competere con Olmo, il suo procedere sui pedali è una sorta di immobilità in movimento, dove sono solo le sue gambe a vorticare mentre tutto il restante corpo è fisso in una posa di armonia», scrisse Bruno Roghi.
In quel 1936 Olmo provò a negare l’evidenza: vinse dieci tappe al Giro, ma il giovane Gino Bartali - non aveva ancora ventidue anni - lo piegò in salita, precedendolo in classifica di due minuti e trentasei secondi e lasciando indovinare che il futuro sarebbe stato suo. Gepin non aveva ancora venticinque anni ma si sentiva infinitamente vecchio. Quello fu l’ultimo Giro d’Italia che corse da protagonista.
Fondò una fabbrica di biciclette, e poi un’altra che rigenerava gomme e copertoni, che a Milano riconvertì in un’altra che produceva gommapiuma su scala mondiale. A Fossati lo spiegò con ironia, «il ciclismo mi ha sempre ispirato un grande amore per le poltrone».
Oggi il Giro riprende da Riva del Garda, dove Olmo vinse il 5 giugno 1936 una delle sue ultime tappe. Con l’eleganza di sempre.
Alessandra Giardini
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