BAGIOLI, L'AMICO DEI SERPENTI

PROFESSIONISTI | 27/04/2018 | 07:03
L’unico modo per fermarlo quando è in bici è met­tergli davanti un serpente. Sì, avete capito be­ne. La maggior parte delle persone scapperebbe a gambe levate, invece lui lo acchiapperebbe volentieri per ammirarlo affascinato. I rettili sono la grande passione di Nicola Bagioli, che si è presentato al grande pubblico conquistando la maglia verde alla Tirreno-Adria­tico. Cono­scia­mo meglio il ventitreenne valtellinese della Nippo Vini Fantini Europa Ovini, che si è messo in mostra per le sue doti da attaccante.

Da piccolo volevi fare l’erpetologo. Par­tia­mo da qui.
«Lo so che è un po’ strano, ma fin da bambino mi sono sempre piaciuti i rettili e gli anfibi, quindi studiarli mi affascinava come idea. Quando sono in al­lenamento, se vedo un insetto particolare mi fermo per catturarlo, lo guardo e poi lo lascio andare. In gara è successo solo una volta, quando ero stagista al Tour of Utah 2016. In una tappa vidi un serpente a sonagli praticamente mor­to, era stato schiacciato da una macchina. Mi sono fermato e gli ho staccato il sonaglio. Era un souvenir dav­vero raro che non potevo lasciarmi sfuggire. Quando ero piccolo ho sfinito i miei genitori fino a convincerli a far­mi tenere un serpente in casa, ora che sono cresciuto ne vorrei un altro ma essendo sempre via non è possibile perché non c’è nessuno che me lo curi».

Quindi niente serpente e ti tocca fare il ciclista.
«Già (sorride, ndr). A parte l’amore per gli animali, è la professione che sogno da quando vado in bicicletta. In passato mi sono di­lettato con il nuoto, lo sci, l’arrampicata, qualche gara di corsa a piedi. Da junior ho scelto di dedicarmi più seriamente al ciclismo perché era la disciplina che preferivo, ma nei mesi invernali, quando posso, amo trascorre il tempo in montagna».

Alla Tirreno-Adriatico hai dimostrato di avere carattere.
«Alla vigilia non mi aspettavo di salire sul palco per la cerimonia conclusiva. Sono andato a caccia dei primi punti as­segnati per la maglia verde nella se­conda tappa e poi ho corso per portare a casa questo risultato. Per me è stata una settimana molto positiva, dopo un buon inizio di stagione (quarto al Tro­feo Laigueglia e tre top ten all’Haut Var, ndr), il successo nella classifica degli scalatori mi ha dato la conferma di aver svolto un buon lavoro in inverno tra palestra e bici. Questo riconoscimento mi dà fiducia, anche se per arrivare al livello dei migliori sono consapevole che c’è ancora tanta strada da percorrere».

Descriviti con tre aggettivi.
«Grintoso, corretto, schietto».

Dove abiti?
«A Lanzada in Valmalenco, in provincia di Sondrio, con papà Roberto, che di lavoro fa il minatore, mamma Ste­fa­nia, casalinga, e mio fratello Andrea, dilettante del primo anno alla Colpack. Chi è più forte tra noi due? Se si guarda ai risultati giovanili bisogna rispondere lui, ma si vedrà. Ci alleniamo raramente insieme, lui va ancora a scuola ed è impegnato al mattino quando io prediligo allenarmi».

La tua prima bici?
«Era una mtb gialla, con la quale ho di­sputato la prima gara. Ricordo che ero in lotta con una bambina con cui mi so­no giocato un piazzamento fino all’ultimo, per un pelo alla fine l’ho battuta. Ho iniziato a gareggiare da G3 per la Al­pin Bike Sondrio, la squadra più vi­cina a casa. Mi sono avvicinato al ciclismo grazie a mio papà, che andava in bici come amatore».

Sei fidanzato?
«Sì, da quasi tre anni. Arianna ama lo sport, ma prima di conoscere me non aveva idea di cosa fosse il ciclismo. Ora si è appassionata e di recente si è anche comprata una bici».

Come te la cavavi a scuola?
«Mi sono diplomato perito meccanico all’Itis. Non ero una cima né un imbranato totale. Ero uno studente nella me­dia. A dirla tutta, ho sempre fatto il mi­nimo indispensabile».

Campione di riferimento?
«Cerco di imparare da tutti i grandi con cui ho la fortuna di correre. Da piccolo in camera avevo una foto di Pan­tani e un poster di Valentino Rossi, un grande».

Qual è il posto più bello che hai “visitato” grazie alla bici?
«Ho scoperto una parte di Giappone in occasione del Tour de Hokkaido. Di questo paese mi incuriosisce la cultura, molto diversa dalla nostra, e mi è piaciuto il cibo, particolare ma buonissimo».

Chi devi ringraziare per essere arrivato fin qui?
«In primis i miei genitori e tutte le squadre in cui sono stato perché in ognuna ho imparato qualcosa. Sono cresciuto un passo alla volta».

Cosa ti ha insegnato il ciclismo?
«A non mollare mai e che il lavoro du­ro prima o poi paga. Se non tralasci nessun dettaglio, i tuoi sacrifici verranno ricompensati. Il ciclismo, oltre a rappresentare il mio lavoro, è una grande passione che mi fa divertire, distrarre e sfogare. Mi ritengo un ragazzo fortunato».

Cosa hai imparato da quando sei passato professionista?
«Dall’anno scorso sono cresciuto tan­to. Nel 2017 ho partecipato ad una sessantina di gare, tra cui alcune competizioni monumento come la Strade Bian­che e Il Lombardia. L’insegna­men­to più grande che ha appreso è dare im­por­tanza a tutti i dettagli. Questo perché sono proprio le piccole cose a fare la differenza in uno sport in cui tutti fanno tutto in modo perfetto. Dall’in­ver­no scorso ho iniziato a curare me­glio l’alimentazione, seguo i consigli di una nutrizionista, non devo fare rinunce particolari, mangio un po’ di tutto, ma nelle giuste quantità e nei giusti momenti».

Sei una buona forchetta?

«Sì, amo i dolci, soprattutto il gelato e il cioccolato. Ci tengo però a far bene in sella quindi non mi concedo troppi sgarri».

Il tuo punto di forza e il tuo tallone d’Achille?
«Sono un ragazzo molto determinato, ma a volte voglio fare troppo di testa mia. Atleticamente parlando, vado be­ne sugli strappi e soffro le giornate con tanto vento. Sulle salite brevi riesco a dare il meglio di me, in caso di un arrivo ristretto ho un buono spunto veloce, devo migliorare sulle salite lunghe».

Con chi ti alleni generalmente?
«Con Francesco Gavazzi della Androni Sidermec, con Simone Petilli della UAE Team Emirates e con il biker Gio­ele Bertolini del Team Focus Selle Italia. Nella nostra zona siamo pochi ma buoni».

Sogni per il futuro?
«Andare il più forte possibile in bici. Quest’anno vorrei riuscire a centrare la mia prima vittoria nella massima categoria. Sogno le classiche, l’Amstel Gold Race è la corsa che mi piace di più. E chissà che un giorno...».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di aprile
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