«Ancora non ci credo, questo successo è emozionante e incredbile. Alla recente Vuelta Catalunya ho iniziato a capire come si fa a stare con i migliori, oggi per la prima volta ho preso “per le corna” la corsa. Nel 2013 ho finito di studiare (dopo ragioneria, si è dedicato a scienze motorie, ndr) e smesso di correre a piedi, pedalo dal 2014. Le prime corse in Europa le ho disputate nel 2016. L'anno scorso è come se qualcuno avesse premuto il tasto “avanti veloce” nella mia carriera. Sono un novellino. Mi sta capitando tutto così in fretta che non so cosa aspettarmi per il futuro. Come tutti potrei dirvi che sogno di vincere il Tour de France o il campionato del mondo, ma in realtà io desidero solo diventare la versione migliore di me stesso. L'emozione di vincere per sè e i propri compagni è qualcosa di indescrivibile, che ripaga fatica e sacrifici. Questo successo mi da grande confidenza, anche se non mi monto la testa. Sono ancora giovanissimo e ho ancora tanto da imparare».
Gli dà senz'altro fiducia in vista del Giro d'Italia, la sua prima grande corsa a tappe della carriera. «Quest'anno la squadra non è stata fortunata, tutt'altro. Tra gli infortuni di Renshaw e di Cavendish abbiamo perso due uomini importanti, ma in questa corsa ci stiamo riscattando. Alla corsa rosa sarò in appoggio a Louis Meintjes, che punta alla top ten. Io non ho mai corso per tre settimane, in realtà non ho mai superato nemmeno le due, non so davvero cosa aspettarmi. Più una corsa è dura, meglio vado. Sono adatto alle salite lunghe e non troppo ripide, sono un diesel, fatico in partenza ma se poi vado non mi prendono più». Oggi lo hanno capito anche gli avversari in gruppo.
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