
È un racconto che arriva da dentro la corsa, una storia che sbuca dalla polvere, di quelle che all'inizio si notano appena e poi - guardandole con occhio più attento - si fanno grandi, ci completano. E soprattutto emozionano.
La storia la racconta il fotografo statunitense Jered Gruber, la affida ai social come è normale che sia nel 2025, e noi ve la proponiamo poerché è una piccola storia nella storia della Strade Bianche, ma una grande storia di uomini.
Mentre lasciavamo Lucignano d'Asso, ho visto i bellissimi colori della maglia del campione nazionale italiano sul ciglio della strada piegata nella polvere.
Stavamo andando davvro veloci, ho colto in un batter d'occhio la scena, una scena che non scorderò mai più. Era Alberto Bettiol chinato sul suo compagno di squadra, completamente inanimato (dio, spero sia solo privo di sensi, ho pensato), Christian Scaroni. Gli stava schiaffeggiando delicatamente il volto. Tutto qui. Gli stava schiaffeggiando delicatamente il volto.
Con il mio motociclista siamo andati subito via, in un vortice di polvere e caos. C'era un'ambulanza dietro di noi, quindi i soccorsi erano vicini ma... questo non ha alleviato la mia profonda sensazione di vuoto.
In seguito mi sono accorto di avere una foto della scena (perché fotografo davvero tutto, a volte inconsciamente) e mi è saltato all'occhio un piccolo dettaglio là in fondo, nell'angolo: era la bici di Alberto ed era a molti metri di distanza da Scaroni. Bettiol era tornato indietro di corsa dal compagno di squadra.
Ho continuato a controllare tutto il giorno per vedere se c'erano novità su Scaroni, niente. Ho pensato che fossero buone notizie. Più tardi, mia moglie Ashley ha trovato un normale referto medico che parlava di ferite lievi per Scaroni, se ricordo bene. Sta bene. Sta più che bene. È vivo.
Le gare di bici sono bellissime (questa in particolare) ma anche tanto spaventose (questa in particolare). E regalano storie che ci rimangono impresse: d'altra parte non possiamo proprio scegliere i nostri ricordi, vero?