Noi sbrindellati come senzatetto e sudati come dromedari nella sala stampa del tardo pomeriggio, dopo la lunga tappa, lui fresco e al profumo di colonia, tipo appena uscito dal salone di bellezza, benchè scenda dall'ammiraglia dopo 7-8 ore di corsa dietro ai suoi. Giacca e cravatta anche a 40 gradi, senza una piega, senza un alone, senza niente che faccia pensare al consumo e alla stanchezza. Men che meno alla vecchiaia. E' sempreverde, nell'umore e nell'aspetto, pensa ottimista, si confronta con gentilezza, ha un saluto per tutti, potenti e impotenti, questi ultimi nel senso buono di chi non conta nulla o non vuole contare nulla nel bel mondo dei palloni gonfiati.
Gianni Savio, c'è Gianni Savio. Viene a raccontare ogni singolo momento, ogni singola piega, ogni singolo dettaglio della sua corsa: quanti scatti, quante fughe, quanti piazzati. E anche quante forature, quante cadute, quanti accidenti dannati, altrimenti magari stavolta ci portavamo a casa la tappa.
Non tutto quello che racconta ad ogni singolo giornalista, con calma e costanza buddhiste, entra negli articoli. Il tempo e lo spazio sono dittatori spietati, va messo l'essenziale, cose decisive e volti principali: per Gianni Savio non c'è sempre accesso e visibilità. Ma non importa, non è questo a spingerlo in sala stampa: sa che comunque una squadra seria deve informare, tutti, il più grande inviato e il più umile cronista, questo è il giusto, liberi poi i media di setacciare il materiale e scegliere. Se poi capita davvero che quelli di Gianni Savio finiscano in pagina, o in un titolo, o in un filmato, sarà lui il primo a ringraziare. Non è tenuto, ma lo fa sempre, perchè possono strappargli tutto, anche le unghie ad una ad una, ma nessuno strapperà mai a Gianni Savio la cortesia. Quella vera, sincera, di sostanza, certo non l'ipocrita posa dell'opportunista furbone.
Parlo di Gianni al presente perchè mai e poi mai sarà passato, almeno nei miei ricordi. Persino adesso che ha levato l'ancora per l'ultima volta, alzando le vele del viaggio più lungo, senza ritorno, ignoto e misterioso come un destino. E' partito e qui già si vede un posto vuoto, il posto del ciclismo di umanità, di buonsenso, di qualche sano valore, ormai sloggiato dal ciclismo del watt e del punteggio Uci. Ma soprattutto il posto vuoto di un'anima libera.
Passiamo tutta una vita a cercare di diventare noi stessi, di diventare ciò che davvero siamo: qualcuno non riesce mai, tanti nemmeno cominciano. Per quanto mi riguarda, Gianni ci è arrivato in largo anticipo, perchè da quando l'ho conosciuto come Gianni giovane uomo non è mai cambiato di una virgola, non ha mai aggiunto maschere, quello era e quello resta. Non sono nessuno per giudicare, ma almeno di questo voglio proprio rendergli atto.
Certo non ha grandi trofei da accreditarsi, non un potente squadrone, ma molti ragazzi presi dalla strada e trasformati in campioni, prima ancora in uomini, credo valgano anche di più. Il suo artigianato di qualità, a quanto pare, non è più contemplato nei disegni attuali e futuri del grande sport. Tutto mega e tutto giga. In tanti sono felici di non vedere più in giro certe maglie arlecchinate da mille sponsor, ma nessuno sa dire chi prenderà il posto di questi cantieri, di questi collegi, di queste accademie, di queste realtà in cui i ragazzi possono crescere senza ossessioni e senza catene. Gianni ci ha creduto fino all'ultimo, fino in fondo, fedele alle sue idee e coerente con le sue possibilità. Libero anche in questo. Non credo che tutti possano dire la stessa cosa. Proprio non credo.
Poi c'è il resto, quello che ci lascia, a tutti quelli che l'hanno conosciuto e gli hanno voluto bene. A me non piace – davvero non ce la faccio – usare i morti per parlare per vie traverse di me. Mi tengo il mio piccolo pezzo di Gianni, la mia piccola parte di Gianni, in fondo 35 anni di viaggi incrociati, come ciascuno deve tenersi strette le cose sue. E può bastare così, può bastare questo affetto orfano e vedovo, intimo e muto. Il vero Gianni è di sua moglie e delle sue figlie, loro sole possono dire sulle ali di una tiepida malinconia cosa ci siamo persi.