In bicicletta si pensa, si pensa bene e si riflette, ci si rimette in gioco, questo è almeno quello che dicono in tanti. Lo sosteneva anche il leggendario Alfredo Martini: non c’è luogo o punto di osservazione migliore per pensare che in sella ad una bicicletta. Luca Cretti, 23 anni, bergamasco di Sovere (nato il 30 giugno 2001) invece in bicicletta ci è andato per lungo tempo per non pensare. Per pensare ad altro. Per non rimanere schiacciato da quella che ancora oggi lui considera un’ingiustizia. Una positività al Clostebol, una sostanza contenuta nel Trofodermin, lo stesso che ha messo sul banco degli imputati il numero uno del tennis mondiale Jannik Sinner.
La notifica via mail arriva a Luca il 13 luglio dello scorso anno.
«In quel periodo stavo pedalando molto bene, al Giro Next Gen avevo ottenuto ottimi piazzamenti e anche all’italiano ero arrivato secondo, prima di andare a vincere il Giro del Veneto. Ricordo che quel 13 luglio ero in ritiro con la nazionale al Sestriere e mi arriva una mail con la quale mi veniva di fatto notificata una “non negatività” riferita al 24 giugno, campionato italiano. La botta è stata terribile, poi ho cercato di reagire e ragionare: ne ho parlato con i miei genitori, abbiamo cercato di capire cosa potesse essere successo nell’ultimo periodo ed è venuto fuori che un nostro familiare aveva usato per delle ferite quella pomata. A quel punto ci siamo messi a disposizione della Nado Italia per collaborare e far capire la mia buona fede, cercando di dimostrare quello che era successo. Il risultato è stato alla fine una squalifica di due anni, trasformato dopo il primo ricorso in un anno e 6 mesi, dopo il secondo ricorso un anno e 2 mesi».
Quanto è durato tutto l’iter?
«Fino a maggio di quest’anno».
La squalifica è terminata il 12 settembre.
«Esattamente, visto che mi hanno riconosciuto il presofferto cautelare: da quando mi hanno notificato la “non negatività” non ho più corso».
Quando è tornato alle competizioni?
«Il 15 settembre di quest’anno, sempre con la maglia della MBH Bank Colpack Ballan, che non mi ha mai abbandonato, si è proprio comportata come una seconda famiglia. Purtroppo per me e per loro il mio rientro alle competizioni (Matteotti, ndr) non è stato poi così felice: a metà corsa sono caduto e mi sono procurato uno strappo al polpaccio».
Si è sentito bollato?
«Molto e per questo mi sono isolato. È sempre difficile per un ciclista parlare di doping: non ti crede quasi nessuno».
La sua vicenda ricorda e richiama quella di Sinner.
«Mi spiace molto per lui, perché so perfettamente che non è facile andare avanti, soprattutto per lui che è il numero uno al mondo e non posso nemmeno immaginare a quali pressioni mediatiche debba resistere. Spero solo che la Wada capisca che per questa sostanza così non si può essere squalificati».
Ci sono tanti medici che sostengo che questo prodotto dovrebbe essere tolto dalla lista doping della Wada.
«Per quello che ne so io, con una quantità così infinitesimale come quella assunta tramite contaminazione non si migliorano di certo le prestazioni sportive».
A chi si sente di dire grazie?
«Alla mia famiglia, da mamma Flavia (assistente sociale) a papà Marco (che gestisce una bottega di alimentari). Così come i miei fratelli Paolo e Fabio: tutti mi hanno aiutato tantissimo e mi hanno sopportato, più che supportato. Al team, dal primo all’ultimo: sono davvero un gruppo fantastico. E poi Alfio Bettoni, un caro amico che non ha mai dubitato di me».
Quante vittorie ha ottenuto in carriera?
«Ho iniziato da G1 e in quelle categorie ho raccolto 12 vittorie. Tra gli under quattro: Bolghera e Sommacampagna (2022), Roncola e Giro del Veneto (2023)».
Il sogno è sempre quello di passare professionista?
«Non è però un’ossessione».
Ha già un piano B?
«Sto studiando Scienze Motorie: nel mondo dello sport mi piacerebbe restare».
Ha un corridore che era il suo aedo?
«Da piccolino impazzivo per Ivan Basso, oggi mi gusto lo spettacolo di una generazione di fenomeni».