ELVIO CHIATELLINO. «IL PREMIO TORRIANI PER ME E' IL MASSIMO. E ORA HO IN MENTE DI...». GALLERY

INTERVISTA | 11/10/2024 | 12:00
di Pier Augusto Stagi

È probabile che la Cuneo-Pinerolo l’abbia ascoltata, non in radio, ma direttamente nel grembo di mamma Letizia, maestra elementare. Correva l’anno 1949, era il 10 giugno e il Giro d’Italia affrontava la 17a tappa: Fausto Coppi andò a vincere per distacco una frazione diventata storia leggenda e mitologia, dopo aver scalato in sequenza e in solitaria Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere. Elvio Chiatellino venne al mondo quattro mesi più tardi, il 15 ottobre e come è solito raccontare «è come se quell’impresa l’avessi vissuta anch’io. Sento chiaramente che fa parte di me».


Elvio Chiatellino è tante cose: uomo del fare e dal grande cuore, a dispetto dell’aspetto austero da burbero che si scioglie al solo pronunciare il nome di Fausto Coppi o Eddy Merckx, Jacques Anquetil o Bernard Hinault. È un inguaribile e insaziabile innamorato del ciclismo e per questo e non solo per questo è il vincitore del premio Vincenzo Torriani 2024, riconoscimento internazionale che ha ricevuto questa mattina in una delle cattedrali laiche del ciclismo, il Museo del Ghisallo, sorto per volere di Fiorenzo Magni all’ombra del Santuario della Madonna del Ghisallo -  chiesetta dei ciclisti – e alla presenza di Mario Molteni, presidente del Museo e di Carola Gentilini direttrice, oltre ai figli del compianto patron del Giro d’Italia Gianni Marco e Milly Toriani. Elvio Chiatellino è stato premiato con Maurizio Fondriest, Gianfranco Josti e Morena Tartagni. Un riconoscimento che come recita il “claim” del premio spetta “a chi ama il ciclismo e lo fa vivere”: e chi meglio di Elvio lo fa vivere nei suoi ricordi, nelle sue opere, nell’amore declinato ogni giorno e negli anni in un sogno bambino?


Papà Ettore era un dirigente di banca, che della bicicletta non aveva la benché minima passione. Ben diverso il rapporto con il nonno materno, che era un inguaribile appassionato di ciclismo.
«Si chiamava Giovanni Flogna, era stato un buon corridore. Da ragazzino tornavo di buona lena a casa da scuola per ascoltare con lui le radiocronache delle tappe del Giro e del Tour: per me erano fiabe e i corridori i miei veri super eroi».

Figlio unico?
«Si».

Quale era il gioco che amava più fare da bimbo?
«Giocavo con la palla e qualche volta a nascondino. Amavo leggere e ascoltare racconti sul ciclismo: soprattutto quelli di mio nonno, che era davvero il mio aedo. Da ragazzino invece, attorno ai nove anni, ho cominciato a giocare a dama».

E la bicicletta quando compare nella sua vita?
«La prima da bambino: celeste Bianchi della Bianchi. Poi una Legnano quattro cambi che ho avuto in regalo quando ho compiuto i 14 anni».

La Bianchi di Coppi e la Legnano di Bartali…
«Vero, anche se il primo Giro nel 1940 Coppi lo vinse su una Legnano».

La prima corsa vista sulla strada?
«Il 23 luglio 1956, si corre la Gap-Torino del Tour: Charlie Gaul scattò sull’Izoard, passò per primo anche sul Sestriere e poi a Pinerolo, già certo di essere raggiunto dal gruppo al suo inseguimento, salutava la folla. Lo riacciuffarono sul cavalcavia di Airasca, fra Pinerolo e Torino. Io avevo 6 anni ed ero andato a vederli con il nonno e mi ricordo ancora come se fosse ieri la pianta sulla quale eravamo appoggiati. Pianta che esiste ancora ed era proprio di fronte ad un deposito di macchine ferroviarie».

La prima vera passione per chi è stata?
«Coppi non l’avevo ancora capito pienamente, ne ho recuperato la storia e le imprese solo in seguito, anche perché ero troppo piccino. A 13 anni, invece, fui conquistato dal talento e della personalità di Jacques Anquetil. Ricordo anche quando nel 1964 fu riproposta al Giro la Cuneo-Pinerolo e, sempre con mio nonno, mi recai allo stadio di Pinerolo a vedere l’arrivo, ci sedemmo in tribuna accanto all’incantevole Janine Anquetil. Era di una bellezza stupefacente e lei assistette al trionfo rosa di Jacques che conquistò il suo secondo Giro d’Italia».

E dopo Anquetil?
«È venuto il grandissimo Eddy Merckx, il più grande di tutti, nato il 17 giugno 1945: 19 classiche monumento, 11 Grandi Giri, tre campionati del mondo, nessuno per il momento come lui. Pogacar? Fortissimo, indubbiamente, mi diverte un sacco: vedremo a fine carriera e tireremo le somme. Quell’anno, il 1972, Eddy fece la più grande impresa della sua luminosa carriera al Giro d’Italia: Savona-Bardonecchia Jafferau, 256 chilometri di tappa, con la pendenza finale sterrata all’11%. A un chilometro dal traguardo Merckx era ancora nelle retrovie, ma vide al comando il grande Fuentes. Scattò secco e come un’aquila se lo ingollo in un sol boccone e vinse la tappa».

Dopo Eddy Merckx?
«Bernard Hinault. L’ho amato molto. Cinque Giri di Francia su otto partecipazioni, tre Giri d’Italia su tre e tre, due Giri di Spagna su due: tenga conto che Hinault nel rapporto vittorie-partecipazioni è il chiaramente il migliore».

E dopo Hinault.
«Miguel Indurain mi ha affascinato, anche se è stato eccessivamente agevolato dai chilometri contro il tempo nei Grandi Giri. Pero, mi piaceva un sacco: è un gran signore che mi piacerebbe un giorno conoscere».

Senza tutti quei chilometri contro il tempo, forse Bugno avrebbe vinto almeno un Tour.
«Forse più d’uno, così come Claudio Chiappucci».

Cosa è stato per lei Felice Gimondi?
«Un fantastico battuto di successo. Un magnifico galantuomo che ho avuto l’onore e l’emozione di conoscere. Dopo Fausto Coppi, il ciclista italiano che ho più amato. Pensi che Felice Gimondi, quando fu mio ospite alla festa a Venaria Reale per una cena di gala in onore del Tour de France, mi fece il complimento più bello: “Elvio, io che ho vinto il Tour de France non sono ancora riuscito a portarlo a Bergamo, complimenti a te che sei riuscito a portarlo a Pinerolo”. Per me quelle parole sono stato il più alto attestato di stima e riconoscenza».

Marco Pantani.
«Un talento inespresso, che meritava ben altra sorte».

Paga Torriani.
«Altri tempi e che bei tempi. È stato il patron del Giro, un’istituzione: un nome e una garanzia. Era talmente popolare Vincenzo Torriani che i corridori si fermavano durante le tappe nei bar a prendere da bere e scappavano al grido di “paga Torriani!”. A questo proposito, il fatto di aver ricevuto il premio internazionale Vincenzo Torriani per me è il massimo dei riconoscimenti possibili. Per uno come me che si è avvicinato da diciotto anni alle organizzazioni è il massimo a cui potessi ambire».

Diciotto anni di organizzazioni, tra Giro d’Italia e Tour de France.
«Era il 2007 quando Angelo Zomegnan mi diede la Serravalle Scrivia-Pinerolo. Lo incontrai l’anno prima, era il 20 maggio 2006 a Cervinia. Incontro Zomegnan – allora direttore del Giro - e gli chiedo: “Mi perdoni direttore, mi chiamo Chiatellino e vorrei portare il Giro a Pinerolo”. Zomegnan mi guardò perplesso e con un bel sorriso mi disse, mi segua. Lo seguì in zona foglio firma e mi porse un suo biglietto da visita: “Sentiamoci dopo il Giro d’Italia”. E così feci. Quando lo richiamai circa quaranta giorni dopo, Zomegnan si ricordava di tutto e a novembre mi telefonò per dirmi: “Non dica niente a nessuno, le do la Serravalle Scrivia- Pinerolo”. Quello fu il mio inizio. Nel 2008 cominciai a pensare al Tour: scrissi all’Aso, ma mi risposero che avrebbero preso in considerazione la mia richiesta solo se appoggiato da un’istituzione pubblica, come il Comune di Pinerolo. Nel 2011 porto il Tour per la prima volta nella mia città e quest’anno ci è tornato per la seconda volta. Il Giro ha fatto tappa nella nostra cittadina per quattro volte: 2007, 2009, 2016 e 2019. Più un Giro Baby nel 2022».

E ora?
«Ci devo pensare. Qualcosa mi frulla in mente».

Le dico Cooperativa Quadrifoglio.
«È una delle mie passioni, dei miei amori infiniti. È il mio lavoro. La Cooperativa Quadrifoglio era nata per iniziativa del comune di Pinerolo nell’aprile del 1981 e nel settembre 1982 - con Marina Quadro che allora non era ancora mia moglie perché lo sarebbe diventata nel 1986 -, entro in cooperativa Quadrifoglio. C’era un telefono che non suonava mai e in cassa c’erano solo 8 milioni di lire. Oggi siamo a 150 milioni di euro, lavoriamo in 12 regioni italiane e abbiamo circa 5.500 persone a libro paga. Di cosa ci occupiamo? Di socio assistenziale, che si articola in cinque categorie: handicap, psichiatria, anziani, minori a rischio e tossicodipendenti. Noi lavoriamo principalmente sull’handicap, sulla psichiatria, sugli anziani e i minori a rischio».

Ha anche un grande amore per i cani.
«Sconfinato. Ho avuto un primo cane che era un incrocio tra un pastore tedesco e un pastore belga di nome Dick. E dall’11 novembre 1993 ho avuto e ho dei bellissimi cani Bovaro del bernese».

È vero che ha creato dentro la sua proprietà dei veri e propri mausolei per onorare la memoria dei suoi cani?
«Certo che sì, fanno parte della mia vita. Mi hanno donato amore: sono parte di me, di noi».

Segue altri sport?
«Un pochino il calcio, tengo la Juventus».

Lei ha una memoria enciclopedica: si ricorda tutto.
«Mi riesce facile è un dono di natura. Adoro memorizzare anche per non dimenticare chi ha fatto la storia dello sport che più mi appassiona».

Nella sua residenza di Pinerolo ci sono 7 grandi affreschi di altrettanti campioni del pedale.
«Sono i più grandi interpreti delle corse a tappe, che sono l’essenza del ciclismo. C’è naturalmente Coppi per gli Anni 50, poi Anquetil per i 60, Merckx per i 70, Hinault per gli 80, Indurain per i 90, Armstrong per il 2000 e Contador per il 2010: tutti rispondono alla regola del 7. Aver vinto almeno sette Grandi Giri».

Anche Armstrong, scelta più che discutibile…
«Per me vinse 7 Tour e trovo assurdo che gli siano stati tolti a posteriori. E la cosa vale anche per Contador, che per me di Grandi Giri ne ha vinti 9, non 7».

La gioia più grande.
«Dopo il matrimonio con Marina, il giorno in cui mi ufficializzarono che il Tour nel 2011 sarebbe arrivato a Pinerolo. Avendo paura dell’aereo feci cinque viaggi in macchina fino a Parigi per ottenere il lasciapassare dai cugini francesi. Quando ci riuscii fu una gioia infinita».

Pinerolo è il panettone (Galup) e il caffè (Ramon de Rivaz), ma anche Elvio Chiatellino (cooperazione Quadrifoglio).
«La prego, non esageri…».

Da casa sua vede all’orizzonte il Sestriere e il Monginevro…
«E la mia immaginazione mi porta a intravvedere anche l’Izoard e il Galibier. Ci sono dei giorni che mi pare di vedere anche Fausto Coppi, un omino con le ruote, contro tutto il mondo. Un omino con le ruote contro l'Izoard. E va su…».

Nella foto, da sinistra, Morena Tartagni, Elvio Chiatellino e Gianfranco Josti

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