Auguri caro Vito. Auguri come sempre, come ogni anno e come non mai. Auguri veri sinceri e autentici, perché ne hai bisogno, perché ne abbiamo bisogno, ogni giorno e in ogni momento: sempre.
Oggi Vito Di Tano taglia il traguardo dei 70 anni. Una data rotonda, che si è fatta spigolosa, appuntita e tagliente. Come le sue parole, ferme arrotanti e tonanti, che non tradiscono emozione, che non rifuggono la paura, ma la affrontano, come sempre. «Grazie direttore per gli auguri, ne avevo proprio bisogno, ne ho bisogno, come l’aria che respiro – mi dice -. Questa sera festeggio con la mia famiglia, i miei ragazzi (Maria Grazia di 44 anni, Alessandro di 41 e Sara di 34) e con i miei gioielli, i miei nipotini: Giulia (7 anni), Livia (5), Enea (2 anni) e Micaela (un anno e mezzo). E ho da festeggiare davvero, più di sempre, perché mi attende il terzo mondiale, il più difficile di sempre, quello di un tumore maligno al polmone che mi hanno diagnosticato il 28 agosto scorso».
Parole come macigni, che tolgono il fiato. Vito parla sicuro, come sempre più di sempre, in perfetto stile Di Tano: riservato e passionale. Vero, autentico e diretto.
«Mi spiace recare disturbo ai miei figli, ai miei amici, perché ci siamo già passati, quindici anni fa, quando mia moglie Livia si è ammalata e nel volgere di un anno ci ha lasciato. Non si meritavano di vivere ancora una situazione così, ma ce la metterò tutta per uscirne, per vincere anche questo mondiale. Dipende da me, ma non solo. Questa volta non sono responsabile del mio destino. Mi spiace solo che dopo 55 anni di attività ciclistica sono costretto a passare la mano. Mi ero posto come traguardo i 70 anni e volevo finire sui campi di gara almeno questa stagione, ma non è stato possibile. Adesso devo pensare a me, devo curarmi, concentrarmi su questa sfida estrema».
Da diciotto anni sei affetto da una malattia autoimmune.
«Ho una sclerosi sistemica (sclerodermia: è testimonial per la ricerca come Mara Maionchi, ndr), ma ho imparato a conviverci e anche bene. Perché sono seguito da persone eccezionali come il dottor Lorenzo Beretta. Poi, proprio dopo pochi giorni dalla festa dei 60 anni della Guerciotti, ho cominciato a non respirare bene. Nonostante questo, sono sempre uscito in bicicletta, ci mancherebbe! Poi sono andato al Mater Dei di Bari e li mi hanno diagnosticato una neoplasia al polmone. Adesso sono in cura al Policlinico di Milano, sotto le attente cure di un luminare di fama mondiale come il professor Lorenzo Rosso. Sono in attesa di avere l’esito della Pet per poi cominciare i cicli di chemio. Speriamo bene, io ce la sto mettendo tutta».
Come quando correvi.
«Come sempre. Ho iniziato nel 1969 – 55 anni di tesseramento – con i Giochi della Gioventù. Siamo in tre ad aver vinto i Giochi e poi esserci laureati campioni del mondo: io, Saronni e Fondriest. Nel ’69 in Puglia con la maglia della Libertas Fasano e poi alla Taras di Taranto. Nel ’77 alla Fiorella Mocassini con Carmelo Barone e Riccardo Magrini e dal 1978 in Lombardia con Paolo Guerciotti, che per me è più di un fratello. 173 vittorie nel ciclocross, 56 su strada. Nel frattempo, nel ’76 ho vinto un concorso per un posto in ferrovia e il 10 gennaio del 1977 sono stato assunto a Verdello, vicino a Dalmine. Sono entrato al primo livello e sono arrivato al 6°: il massimo per uno come me che aveva solo la quinta elementare. La mia non è stata una vita semplice, ma credimi, ho avuto tutto. Sono felice. A soli 9 anni, quando papà Giulio e mamma Maria si sono separati, sono diventato immediatamente grande. A 11 sono andato a fare il muratore. Crescere è stata dura, ma ce l’abbiamo fatta».
Tra treni e qualche gara di ciclocross: due mondiali.
«Nel 1979 esordii ai mondiali di Saccolongo, vincendo fra i dilettanti. L’anno successivo vinsi il primo dei miei sei titoli nazionali. Nel 1986, a Lembeek (Belgio), il bis iridato ancora fra i dilettanti. In quegli anni la Nazione di riferimento era la Svizzera. Poi le attenzioni si sono spostate verso Belgio e Olanda. Da noi abbiamo sempre fatto fatica: gli sponsor non capiscono la visibilità che il ciclocross riesce a dare. E pensare che è una specialità molto spettacolare e di conseguenza televisiva. Ai miei tempi le gare duravano anche un’ora e mezza, ora lo sforzo dura una cinquantina di minuti, per questo i corridori sono molto più esplosivi. Quello che è restato è la grande utilità che ha il cross anche per chi pratica attività su strada: guardate Van Aert, Van der Poel o Pidcock».
Auguri caro Vito. Auguri come sempre, come ogni anno e come non mai. Auguri veri sinceri e autentici, perché ne hai bisogno, perché ne abbiamo bisogno. Ogni giorno, in ogni momento: sempre.